“IL TASSO” periodico della FISAC/CGIL SanPaolo - Provincia di Torino

Dicembre 2004, numero 2

 

 

 

IN QUESTO NUMERO TROVATE…

 

A volte ritornano

Il Budget 2005 a Torino

Strategie FISAC per la ristrutturazione del gruppo

I tre livelli di copertura della categoria

La FISAC in Area Torino

A che punto è il Contratto Nazionale?

Tutto il mondo è paese

Speciale “Riforma” Previdenziale

Donne e Part-Time

A proposito di diritti acquisiti

Emily: donne e politica

Dagli stereotipi ai sociotipi

Cooperazione e sviluppo

Favole in internet

Ci sono scrittori Rodariani?

L’odore dei soldi

Riprendere il confronto sulla sicurezza


 

A volte ritornano…

 

E già, a volte ritornano. E noi siamo di quella razza lì.

Magari ci mettiamo un po’, ma in un mondo in cui tutto va maledettamente di fretta non è detto che sia un male.

E così rieccoci qua, a raccontarvi quello che è cambiato in casa nostra (il nuovo Referente di Area e una nuova Vicaria), quello cha sta cambiando in Area (il nuovo budget per il 2005 e i problemi della sicurezza) e quello che sta cambiano in Azienda e nel Paese (le prospettive dopo la cessione sportelli e la “Riforma delle Pensioni”).

Ma vogliamo anche raccontarvi quello che non cambia.

La passione. La nostra passione, quella che ci mettiamo in tutto quello che facciamo. La nostra passione sulle questioni di lavoro, per costruire regole più giuste e vicine alle esigenze dei colleghi (sul Part Time, ad esempio), anche ricordando come andavano le cose. E come potrebbero tornare ad andare, se non stiamo attenti.

La passione che ci mettiamo nel ragionare (e fare!) per un mondo che ci piaccia di più. In cui l’eticità della finanza non sia solo un concetto astratto buono per tutte le stagioni, in cui la solidarietà produca risultati concreti, in cui la comprensione dei modelli e delle ragioni “altre” siano il primo strumento attraverso cui rivendicare il doveroso rispetto per noi, la nostra cultura, le nostre radici.

Troppo!! E chi ci crediamo di essere?!??

Solo delle persone che ci credono.

Che credono che “globalizzazione” sia solo una parola, che quello che conta è se si globalizzano i diritti o la povertà. Che credono che in ogni caso le alternative sono solo queste: o cerchiamo si stare tutti meglio o staremo tutti peggio. E molto.

E allora se è vero che in questo mondo globalizzato un battito d’ali di farfalla in Cina può provocare una tempesta in Europa, allora anche ripensare a una favola (ma non a caso) o piegare un pezzo di carta per costruire un Babbo Natale può essere un buon inizio.

Solo questo: passione. La nostra. Quella che speriamo di poter condividere e veder crescere con voi.

Grazie e buonissime feste a tutti.

La Redazione

 


 

IL BUDGET PER IL 2005 IN AREA TORINO

La crisi industriale della città è gravissima, i consumi calano, i prodotti finanziari stentano e la crescita dei tassi è una scommessa a rischio. E c’è chi pensa che spingere l’indebitamento sia la risposta.

 

Fine anno. Nella vita “normale” regali, auguri, brindisi, cose così. In azienda: tempo di budget. Tutta un’altra storia, solo a dirlo. Se poi bisogna anche farlo questo budget… Se, come si dice oggi, bisogna “performare”, allora anche il panettone sembra meno dolce.

Soprattutto se sei a Torino e magari lavori in banca, forse proprio al SanPaolo. E sì, perché a Torino il budget si scontra con la realtà economica un tantino traballante della città. E il SanPaolo fa anche i conti con scelte strategiche che sembrano avere un po’ di fiato corto.

Andiamo con ordine, partendo dalla situazione socio economica della città.

In principio la FIAT. Il piano industriale prevede che a Mirafiori non si producano più i motori, coerentemente non è previsto l’ammodernamento degli impianti torinesi. Inoltre è stato ufficialmente dichiarato che la componentistica verrà rilocalizzata fuori dall’Italia, ovvero chiusura dell’indotto torinese. La volontà aziendale di smobilitazione è nei fatti, anche se smentita a parole. Le Organizzazioni Sindacali aziendali, e l’Amministrazione Torinese, stanno elaborando delle proposte, ma il percorso è difficile, lungo e dall’esito tutt’altro che scontato.

La vicenda Embraco è ampiamente agli “onori” della cronaca in tutta la sua drammaticità e conferma come la crisi del settore industriale tradizionale si stia rapidamente estendendo oltre i “confini” del comparto automobilistico.

Il completamento dei cantieri per l’alta velocità ha già portato al licenziamento di 6.800 lavoratori.

La chiusura di NOICOM non rappresenta solo il trasferimento di 70 lavoratori in Toscana, ma soprattutto segna il fallimento di quello che di fatto era il più importante investimento nel torinese in tecnologie avanzate e innovative.

Perfino l’ultima relazione trimestrale dell’Unione Industriali parla apertamente di crisi, alla faccia delle dichiarazioni pubbliche di ottimismo e ripresa.

In questo panorama le preoccupazioni della CGIL Torinese e i suoi sforzi per rilanciare la “Vertenza Torino” alla ricerca di soluzioni strutturali contro il declino industriale nella nostra città e in Provincia appaiono sempre più giustificati.

Purtroppo, nel frattempo, le ricadute di questa situazione si vedono. Consumi in calo e nonostante questo i piccoli finanziamenti che saltano sono in crescita. Dalle vecchie cambiali inevase ai RID, RIBA etc., più moderni, ma ugualmente “volati”.

Un bel panorama, non c’è che dire. Come si attrezza il SanPaolo in tutto questo?

Innanzitutto conferma che per il 2005 resta valido ciò che stabiliva il piano triennale varato nel 2002. Già qui capire se si tratta della riconferma di una visione strategica o della semplice riproposizione di dichiarazioni di principio non è facile. In ogni caso, effettivamente sul Mercato Imprese qualche prospettiva si intravede. La rinuncia a “sovraccaricare” i derivati è sicuramente positiva, come anche lo sviluppo di PMI Confidi e il tentativo di lavorare sul campo del finanziamento alla Ricerca e Sviluppo. Può anche essere interessante lo studio di strumenti di finanziamento a breve che eroghino al momento dell’ordine anziché della fatturazione. Il vero problema naturalmente è conciliare il tutto con le difficoltà di cui sopra del mercato torinese.

E’ ben diversa invece la situazione del Mercato Privati. In questo caso l’intero budget sembra costruito unicamente sull’ipotesi di rialzo dei tassi. Ipotesi prevista da ormai tre anni e mai realizzata. E oggi l’idea che tale rialzo si realizzi in conseguenza di un’im-minente frenata dello sviluppo cinese sembra più una speranza che una previsione. Ma entriamo nel dettaglio. Dal punto di vista degli investimenti il mercato delle polizze, ampliato nel 2004, soffre ormai di una certa saturazione, e produce l’effetto di ingessare per un lungo periodo la liquidità e la possibilità di operare transazioni. Per altro o le performance del Wealth migliorano sensibilmente o diventa difficile strappare spazi alla concorrenza sul gestito.

Per quanto riguarda lo Small Business, a parte il coinvolgimento apprezzabile di un alto numero di colleghi giovani, non sono chiare le strategie di approccio al mercato e al personale. Tanto per incominciare continua a non esserci chiarezza sui “limiti” che separano la clientela “corporate” da quella Small Business. Ed è ovvio che finché questo nodo non verrà sciolto sarà difficile individuare strategie adeguate a un mercato di fatto non definito Poi, andando in ordine sparso: i Gestori Small Business continuano a non avere un inquadramento pari a quello dei loro omologhi nel settore Titoli o Imprese. A che cosa servono gli “sviluppatori”? Con quali prodotti, quali prezzi e quale cultura del rischio affrontiamo l’agguerrita concorrenza?

Venendo infine al capitolo finanziamenti ai privati, l’ipotesi di un’assegnazione per l’Area di 36.000 nuove carte di credito è preoccupante. E non solo per il numero in sé, ma proprio per le difficoltà che il livello di consumo sta incontrando a livello nazionale e in particolare torinese. Se non ci sono soldi la carta di credito non li crea, ma crea semplicemente l’illusione di averli. E’ indubbiamente vero che c’è una forte concorrenzialità nel mercato delle cosiddette carte revolving non solo da parte dei competitori storici, ma anche (e soprattutto) da parte della grande e media distribuzione. Tuttavia la rincorsa a un mercato dai forti contenuti di rischiosità diffusa (pensate agli sconfinamenti che vediamo già oggi!) andrebbe affrontata con un minimo di progettualità.

In conclusione i tempi sono bui e le idee poche.

Quello che ci auguriamo e che una di queste poche idee non sia la solita. Fiato sul collo a chi deve vendere, testa bassa e pedalare, il cuore oltre l’ostacolo. Questo aspetto ovviamente riveste per noi un’importanza assoluta. E vogliamo sottolinearlo a maggior ragione proprio in concomitanza con il cambio appena realizzato ai vertici della gestione del personale in Area. Infatti solo una funzione del personale raccordata con le funzioni di presidio dei mercati, ma da esse indipendente e connotata da autorevolezza e autonomia potrà consentire di affrontare al meglio questo ennesimo difficile passaggio.

In Area Torino i risultati sono costantemente su livelli di eccellenza, ma la macchina è al limite. Tirarla oltre questo limite significherà inesorabilmente imballare il motore e rompere il giocattolo.

Clienti e colleghi sono stanchi e nervosi, ciascuno per le proprie ragioni, contingenti e non solo. Crisi sociali, difficoltà per fasce sempre più ampie di popolazione nel mantenere il proprio livello di reddito, incertezza generalizzata dei mercati finanziari, competizione sfrenata tra aziende finanziarie e all’interno stesso di ciascuna azienda rendono estremamente complicato il compito dei colleghi. Se è necessario fare un salto di qualità, questo deve partire dai vertici aziendali ai quali sono richieste una progettualità seria in cui i colleghi possano riconoscersi, direttive chiare e compatibili con la realtà del mercato, mezzi coerenti con gli obiettivi, volontà di perseguire davvero il successo dell’Azienda. In difetto di tutto ciò nessuna campagna di vendita, nessun premio aziendale, nessuna pressione, appello o minaccia porterà risultati apprezzabili e duraturi. 

Paolo Barrera

Giacomo Sturniolo

 


 

 

IL CONTRATTO INTEGRATIVO UNICO E’ IL NOSTRO PRINCIPALE OBIETTIVO

Le strategie della FISAC per gestire la riorganizzazione del Gruppo

 

Mentre è tramontata l’ipotesi di fusione con Dexia, prosegue la riorganizzazione del Gruppo con la cessione delle filiali Sanpaolo dell’Emilia e del Triveneto a Carisbo, Cariparo, Carive e Friulcassa.

Certo, il piano di ristrutturazione scelto dal Sanpaolo è originale nel panorama creditizio italiano: un’u-nica grande banca commerciale che mantiene il radicamento territoriale articolandosi in diverse banche reti. Tuttavia, a nostro avviso, non mancano le incongruenze. Infatti, la cessione di filiali Sanpaolo per ambiti provinciali o regionali precisi non riguarda gli sportelli di banche ex Cardine presenti nello stesso territorio. Come è stata singolare la creazione di un’ulteriore struttura di coordinamento territoriale per il solo Nord Est, tant’è che verrà chiusa a fine anno. Comunque, indipendentemente dalle scelte societarie fatte dall’Azienda, l’iniziativa sindacale è quella di neutralizzare le ricadute negative per i colleghi coinvolti nei processi di scorporo o cessione di ramo aziendale, in modo tale che diventa indifferente, per tutto ciò che riguarda le tutele e le garanzie contrattuali, essere dipendente del Sanpaolo o delle banche reti.

L’obiettivo sindacale di arrivare ad un unico trattamento economico e normativo quale elemento di garanzia per i lavoratori e le lavoratrici di tutte le banche reti del Gruppo va, quindi, di pari passo con la scelta aziendale di costituire un’unica grande banca commerciale, seppur articolata in diverse società nei territori di riferimento.

Abbiamo sempre sostenuto che il personale che opera con gli stessi sistemi informatici, con lo stesso modello organizzativo e commerciale, deve avere uguali garanzie occupazionali, un unico sistema di inquadramenti e percorsi professionali, un unico sistema valutativo e incentivante, un unico contratto integrativo. Se fondamentali sono state le intese su mobilità territoriale e riconversione professionale per MOI/DAL e Servizi Centrali, nonché l’accordo sul fondo di solidarietà che ha permesso di contenere i “costi sociali” delle ristrutturazioni del Gruppo, estremamente importanti sono gli accordi raggiunti di armonizzazione normativa ed economica.

Lo strumento giuridico utilizzato per il Sanpaolo Banco di Napoli, cioè fusione e successivo scorporo, ci ha permesso di ottenere per i lavoratori coinvolti la garanzia del Contratto Integrativo unico. A rafforzare l’unicità contrattuale, ogni mese vengono effettuati passaggi di contratto di colleghi dal Sanpaolo al Sanpaolo Banco di Napoli e viceversa.

Più complicata è stata invece la trattativa per la fusione di Cardine Finanziaria, in quando si doveva far sintesi di 5 contratti integrativi. Inoltre, pendeva la spada di Damocle del decreto legislativo n. 18/2001 che prevede, in assenza di intese sindacali, la completa sostituzione delle normative aziendali con il contratto integrativo della società incorporante, cancellando così specificità e legittime aspettative dei lavoratori coinvolti. Lo sforzo sindacale è stato quello di salvaguardare fondamentali acquisizioni economiche e normative, frutto delle storie contrattuali delle banche d’origine. Per questo, dal 1° novembre, ai colleghi incorporati si applica il CIA Sanpaolo con il mantenimento di alcune specificità.

In questi giorni è iniziata la procedura relativa alle cessioni delle filiali dell’Emilia e del Triveneto.

Il confronto parte da una presupposto importante: l’art. 96 del Contratto Integrativo Sanpaolo stipulato nel 2001 supera la normativa del decreto legislativo e prevede, per il personale ceduto a società all’interno del Gruppo, il mantenimento del contratto integrativo aziendale sino al rinnovo. La trattativa dovrà quindi individuare le modalità con le quali garantire le tutele occupazionali, la gestione dell’eventuale mobilità, la valorizzazione delle professionalità, il mantenimento di tutti i livelli retributivi, assistenziali e previdenziali, nonché le agevolazioni per i finanziamenti al personale.

Lo strumento utilizzato per l’integrazione delle reti ex Cardine, cioè la cessione delle filiali, e non la fusione e successivo scorporo come avvenuto per il Banco di Napoli, non permette di arrivare subito ad un unico contratto integrativo per tutti i lavoratori e le lavoratrici della “banca commerciale” e ne rinvia la discussione al momento del rinnovo.

Tuttavia, la positiva conclusione della procedura sulla cessione delle filiali sarà un altro tassello importante verso questo obiettivo. Così come le trattative nelle banche reti relative all’organizzazione del lavoro che dovranno portare all’applicazione degli stessi inquadramenti e percorsi professionali. Così come il confronto sul premio aziendale nel 2005 che dovrà riguardare la possibilità dell’azionariato per tutti i dipendenti della banca commerciale.

Solo con la convinzione che il contratto integrativo unico è lo strumento indispensabile per rafforzare le tutele di tutti, sarà possibile costruire insieme alle rappresentanze sindacali delle singole banche reti una piattaforma di rinnovo dei contratti integrativi condivisa dai colleghi che porti all’armonizzazione dei trattamenti economici e normativi nell’ambito dell’intera banca commerciale.

 

CLAUDIA FUMAGALLI

Segreteria di Coordinamento

 


 

I TRE LIVELLI DI COPERTURA DELLA CATEGORIA E IL CONTRATTO UNICO

Nel momento in cui stiamo scrivendo queste note si sta consumando sui palcoscenici di Bruxelles e di Piazza San Carlo il fallimento del disegno di fusione fra Sanpaolo e Dexia. La posizione della Fisac/Cgil aziendale, favorevole all’operazione in quanto equilibrata, è ormai arcinota, così come è nota la preoccupazione che serpeggia fra i lavoratori della Banca rispetto a possibili evoluzioni dello scenario delle aggregazioni che penalizzassero la città e la tenuta occupazionale dell’azienda.

Se ce ne fosse ancora bisogno questa vicenda è un ulteriore segnale della ripartenza nel settore della corsa alle aggregazioni/fusioni sia domestiche che “cross border”, in una fase che viene complicata ulteriormente dal fatto che è in corso il rinnovo del CCNL della categoria. La trattativa contrattuale avanza con molta fatica anche per le divisioni palesi nel fronte della Controparte ma comincia ad essere evidente che alcuni nodi stanno giungendo al pettine.

A) Le fusioni non sono mai neutre e sono sempre accompagnate da costi sociali, si tratta di valutare quanto sono sopportabili. In genere gli analisti finanziari e i mercati reagiscono positivamente agli annunci di tagli all’occupazione ed il titolo schizza in proporzione a quante sono le migliaia di esuberi annunciati. Ovviamente noi ci muoviamo in senso diametralmente opposto.

B) Di qualunque segno sia l’operazione, anche quella più digeribile vede un impatto pesante sulla Sede Centrale, in particolare sulle attività di supporto e servizio, ovvero sulle nostre MOI e DAL. Essendo attività di costo non possono che essere “ottimizzate” in qualunque caso e sarebbe bene ricordarsi sempre che i 1.800 esuberi del Sanpaolo nel piano industriale in corso sono stati tutti identificati nella Sede Centrale,come conseguenza della sovrapposizione fra Sanpaolo, Banconapoli e Cardine.

C) Abi nelle posizioni recentemente esplicitate ha palesemete attaccato l’Area Contrattuale chiedendo di estendere il perimetro delle attività appaltabili a ced, centri servizi, leasing e factoring, gestione immobili.

D) Sempre Abi ha richiesto la piena applicabilità della Legge 30. Ci sembra evidente che disegnare da oggi in  avanti uno scenario di precarietà e di sottoretribuzione per tutti i futuri dipendenti del Credito sia un attacco centrale all’unità della categoria, definita agli inizi degli anni ’90 proprio con l’istituzione dell’Area Contrattuale.

E) Alcuni grandi Gruppi hanno assunto decisioni inquietanti: Unicredito ha deciso la delocalizzazione in Romania di attività di amministrazione e back office, Capitalia sulle medesime attività di sede ha deciso la costituzione di una società scorporata dalla banca.

Pensare di attraversare indenni una bufera di queste proporzioni, quale si sta annunciando, ci sembra semplicemente impossibile. Pensiamo quindi quali sono le mosse da mettere in campo per la tutela della categoria e in particolare dei lavoratori della Sede Centrale.

1) Il primo livello di tutela continua ad essere costituito dall’Area Contrattuale e il rinnovo del CCNL non può segnare alcun arretramento in materia.

2) Ciò ormai non basta più in quanto l’applicazione della Legge 30 e le nuove normative in materia di scorpori e cessioni di rami di azienda aprono gravi falle nella nostra struttura di tutela. La contrattazione di categoria dovrà portare delle limitazioni sulle norme relative al mercato del lavoro che ne rendano accettabile l’applica-zione al settore. Sugli scorpori vanno definite delle procedure di confronto tra le parti più avanzate e vincolanti per le aziende, che attualmente possono procedere unilateralmente, trascorso un breve periodo per consultare il Sindacato.

3) Anche questo non è ancora sufficiente se non si trovano soluzioni stabili per le normative aziendali in caso di scorpori o cessioni, in quanto in questo caso la Legge prevede che si applichi il contratto integrativo della società acquirente, che ovviamente non è detto sia favorevole al lavoratore “ceduto”. Su questo problema il Sindacato al Sanpaolo ha definito una norma, nello scorso CIA del 2001, che consente di tutelare sotto il profilo normativo e occupazionale i dipendenti che venissero investiti da questo problema. Si tratta però di una normativa che dobbiamo migliorare alla luce dello scenario evolutivo del Sanpaolo. Come? La strategia che dobbiamo perseguire è quindi alquanto complessa in quanto tocca diversi momenti e diversi soggetti della contrattazione sindacale. Ovviamente sarà basilare un positivo sbocco della contrattazione nazionale che però deve essere accompagnato da un grande sforzo dei Sindacati del Gruppo Sanpaolo.

Siamo convinti che solo un quadro normativo omogeneo consenta di tutelare tutti i lavoratori del Gruppo: per questo sarà necessario definire una piattaforma comune a tutte le Banche Reti al fine di acquisire un contratto integrativo unico per tutti i dipendenti della Banca commerciale. Questa è la grande sfida che abbiamo davanti e questa è la strategia che la Fisac/Cgil del Sanpaolo si è data ed ha iniziato a perseguire.

 

ROBERTO MALANO

Segreteria di Coordinamento

 


 

Nuovi e vecchi referenti di Area

La riorganizzazione della FISAC in Area Torino è l’occasione per programmi e saluti. E per gli auguri di fine anno.

 

Molti colleghi e sindacalisti della provincia di Torino mi conoscono gia da molto tempo e sanno come sono abituato a lavorare: parlare e confrontarsi con tutti, affrontare i problemi con praticità e buon senso.

L’ambito di lavoro e di responsabilità si allarga, ma intendo proseguire con lo stesso metodo, per quanto dispendioso e impegnativo.

Ringrazio tutti, Paolo Barrera per primo, per la collaborazione fin qui ricevuta e soprattutto per quella che sicuramente riceverò. Grazie e auguri di Buon Natale a tutti. 

GIACOMO STURNIOLO

 

Svolgo attività sindacale da molti anni e sono abituata a parlare e a confrontarmi con i colleghi di diverse filiali. Fare il vice referente dell’Area Torino è un modo per dare seguito a questa mia passione, anche se non nascondo qualche preoccupazione per l’aumento degli impegni e delle responsabilità. Comunque, sapendo di lavorare con colleghi e sindacalisti disponibili e collaborativi, inizio volentieri e con entusiasmo questa mia nuova avventura.

In attesa di vederci nelle varie filiali, vi saluto e vi auguro buone feste. 

BRUNA VIGNA

 

Vorrei utilizzare questo breve spazio per ringraziare.

Per ringraziare la FISAC del Piemonte che ha voluto concedermi il privilegio di entrare  a far parte della Segreteria Regionale, ragione per cui ho “passato la mano” in Area.

Per ringraziare Giacomo che ha accettato con entusiasmo di raccogliere la responsabilità dell’Area Torino e Bruna che con altrettanta voglia si è resa disponibile a condividere una fetta di tale impegno. Conosco entrambi e so che faranno bene.

Per ringraziare tutti i sindacalisti dell’Area Torino che sono stati collaboratori preziosi e insostituibili, nell’attività sindacale come nei rapporti umani.

Per ringraziare tutti i colleghi - ma sopratutto gli iscritti - che in questi anni mi hanno testimoniato il loro apprezzamento per il lavoro svolto e la loro indulgenza per gli errori commessi. Sappiano che persevererò nell’uno come negli altri.

E infine, ma non certo per ultimi, per ringraziare i colleghi e amici dell’Ag. 28 che in tutti questi anni mi hanno consentito, con il loro lavoro quotidiano, di poter svolgere il mio.

Un caro saluto e buonissime feste a tutti. 

PAOLO BARRERA

 

 

LA NUOVA STRUTTURA FISAC/CGIL

 

La FISAC/CGIL nell’Area Torino

 

Referente di Area: Giacomo Sturniolo - Torino 23 - 3496697367

Vice Referente di Area: Bruna Vigna - Ciriè - 3382418631

Vice Referente di Area: Paolo Barrera - Torino 28 - 3495146098

 

I nostri altri RSA nella rete filiali

TORINO

CARIGNANO: Rosa Giovenale 0119690555

TORINO 7: Doretta Ardu 0112456211

CARMAGNOLA: Margherita Tuninetti 0119722444

TORINO 8: Enio Capra 0115814211

CHIERI: Laura Maina 0119410341

TORINO 9: Antonietta Martino 0112248211

CHIVASSO: Sergio Pavia 0119117211

TORINO 11: Gian Piero Tomasi 0113047211

COLLEGNO: Patrizia Pirri 0114010209

TORINO 13: Franco Ferrero 0118100411

CUORGNE’: Marina Barinotto 012468888

TORINO 18: Pietro Di Legami 0116535211

GRUGLIASCO: Monia Marmo 0114083211

TORINO 20: Maurizio Zoè 0112057211

IVREA: Massimo Colombo 01254111

TORINO 23: Ennio Gorrieri 0113163211

LANZO: Paola Comorio 0123320413

TORINO 25: Costanza Vecera 0113015211

MAPPANO: Alessandro Sartoretti 0119969555

TO 500: Caterina Romeo 0115066411

NICHELINO: Roberto Bellone 0116897201

TO 700 Imprese: Mauro Gemma 0115551

ORBASSANO: Castelluzzo Eugenio 0119007223

 

PINEROLO: Paolo Barral 0121391111

PROVINCIA

RIVAROLO: Silvia Buffo 0124454201

ALPIGNANO: Maria Murialdo 0119674076

RIVOLI: Claudio Verino 0119515511

BEINASCO: Maria Bianchi 0113497634

VENARIA: Gloria Pecoraro 0114596212

 

 ****

La FISAC/CGIL nei Servizi Centrali di Torino e Provincia

 

Responsabile: Roberto Malano - Centro Contabile Moncalieri - 3356354833

 

 

I nostri altri RSA nei Servizi Centrali

CENTRO CONTABILE MONCALIERI:

Alessandra Barolo 0115551

LINGOTTO TORINO:

Giorgio Rabottini  0115551

 

 ****

 RLS FISAC per Torino e Provincia: Piera Gheddo - v. Lugaro - 0115551

 


 

A che punto è il Contratto?

 

Lo chiediamo a COSTANZA VECERA, Segretario Generale della FISAC Piemonte:

Anche questo rinnovo del Contratto Nazionale sta assumendo le caratteristiche di difficoltà e lunghezza che furono propri delle vicende contrattuali del 1999, ancorché per motivazioni diverse da allora.

 

Quando è scaduto il contratto?

Il contratto dei bancari è scaduto a dicembre 2001 per la parte normativa e a dicembre 2003 per la parte economica. Il sindacato ha presentato la piattaforma per il rinnovo del CCNL alla fine dello scorso anno, dopo l’approvazione dei lavoratori, ma la controparte è stata a lungo indisponibile a discutere le nostre richieste.

 

Quali sono le rivendicazioni della piattaforma?

La nostra è una piattaforma complessa ed articolata che ha come obiettivo il riconoscimento e quindi la valorizzazione del contributo fondamentale che i lavoratori hanno dato al risanamento del settore creditizio di questo paese, settore che ha visto negli anni novanta una ristrutturazione pesante che, peraltro, non è ancora terminata. I lavoratori hanno dovuto affrontare prepensionamenti più o meno traumatici, esodi, trasferimenti e riconversioni professionali, e hanno dovuto far fronte al cambiamento di procedure e sistemi informatici che si sono susseguiti in questi anni. Hanno affrontato tutto ciò con sacrificio e grande disponibilità e per questo abbiamo ritenuto che fosse giusto che fosse riconosciuto anche a loro (e non solo agli azionisti) il dividendo del risanamento.

 

Perché nella piattaforma si parla anche di etica?

Con lungimiranza e ben prima degli scandali finanziari di questo inverno, il sindacato ha messo al centro della sua riflessione il problema della responsabilità sociale delle Aziende.

Su questi temi nel giugno scorso è stato siglato il Protocollo d’intesa fra le Organizzazione Sindacali e ABI che ha esplicitato i criteri di “eticità” a cui devono conformarsi i comportamenti delle aziende. La firma del protocollo avrebbe dovuto avviare positivamente la trattativa e invece a luglio è maturata la rottura che ha portato alla proclamazione di due giornate di sciopero a settembre/ottobre e al blocco delle trattative aziendali.

 

Come sono andati gli scioperi?

Molto bene in generale e particolarmente bene al Sanpaolo ed in Piemonte, anche se abbiamo registrato qualche difficoltà nelle sedi ed in qualche Servizio Centrale. I lavoratori della rete filiali hanno aderito con percentuali altissime (oltre l’80%) e proprio per la riuscita degli scioperi è stato possibile riprendere la trattativa con il superamento delle pregiudiziali poste dall’ABI sulle compatibilità economiche e affrontare finalmente la discussione sulle nostre richieste della parte normativa.

 

Siamo vicini all’accordo, quindi?

Purtroppo non è ancora possibile dirlo. Gli incontri di queste ultime settimane hanno definito alcune “partite” importanti sui temi delle relazioni sindacali, ma le posizioni restano ancora distanti e i problemi aperti sono molti. In particolare credo sarà necessario battere le logiche dei banchieri che pensano di realizzare il loro obiettivo di riduzione/contenimento dei costi attraverso l’ampliamento del ricorso alle esternalizzazioni e/o societarizzazioni (cessione di ramo d’azienda) e attraverso l’intro-duzione di nuove forme di lavoro precario.

Purtroppo le vicende di questi giorni (procedure di esternalizzazione del Back office in Capitalia, il piano industriale di Unicredit che prevede le delocalizzazione di alcune lavorazioni in Romania) e la ripartenza del cosiddetto “Risiko bancario” destano preoccupazione. Rafforzano peraltro la nostra volontà di voler salvaguardare le tutele e le garanzie dell’area contrattuale, che abbiamo faticosamente conquistato nei contratti precedenti, così come è prioritaria la limitazione delle ricadute dell’introduzione della legge 30 sul mercato del lavoro in particolare in materia di part time e contratti per i neo assunti.

 

E sulla parte economica?

La nostra richiesta di aumento salariale è motivata dalla necessità di recuperare un potere d’acquisto falcidiato dall’inflazione e da politiche dei redditi messe in campo dal Governo che non hanno tenuto sotto controllo prezzi e tariffe. L’inflazione reale è ben diversa da quella programmata e questo è il terreno dello scontro anche per altre categorie che come la nostra vivono in questo periodo la fase del rinnovo del Contratto Nazionale.

E’ un momento molto delicato, anche perché da più parti si delinea un attacco al CCNL che molti (leggi Confindustria) vorrebbero archiviare fra i “reperti” del passato. Noi della CGIL invece crediamo che il Contratto Nazionale sia ancora la strumento più utile per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e sosteniamo le motivazioni di solidarietà che ne stanno alla base.

 


 

per la serie tutto il mondo è paese!!

 

Quella che segue è la sintesi, in italiano, di un documento del Sindacato spagnolo di categoria della U.G.T/ FeS (Federacion de Servicios) reperibile sul sito www.ugtbsch.com sulla ristrutturazione degli organici del Gruppo Santander relativamente ai lavoratori/trici di Abbey National.

Il documento è datato 26/08/04 ma è comunque significativo…

 

Ricerca e traduzione di Antonietta Martino

 

Il Presidente del Gruppo Santander, Emilio Botin, ha presentato nel mese di agosto ai rappresentanti sindacali del sindacato britannico Abbey National Group Union, il piano industriale del Gruppo Santander nel quale di parla di una riduzione dell’organico di 3000 lavoratori/trici in 3 anni.

L’UGT (il sindacato spagnolo) ha manifestato la propria preoccupazione evidenziando come, tanto nei processi di ristrutturazione come nei processi di fusione, in Spagna, il metodo utilizzato sia la trattativa con il Sindacato.

La priorità del sindacato spagnolo è la ricerca di un accordo non solo, come sostengono, per omologare tutte le condizioni lavorative (economiche e sociali) ma soprattutto per garantire i posti di lavoro sapendo che per attuare qualunque ristrutturazione degli organici, l’unica strada che l’azienda può intraprendere è il pre-pensionamento.

A maggior ragione quando una delle Entità interessate è localizzata nel Regno Unito, dove la legislazione sul lavoro prevede la possibilità per le aziende, per ragioni organizzative, di licenziare i lavoratori/trici dietro un indennizzo che può raggiungere al massimo 7800 sterline e nei casi di licenziamenti infondati fissa un indennizzo massimo di 90 giorni di salario.

E’ indispensabile, sostengono inoltre i sindacalisti, aprire il tavolo di trattativa dove affrontare in primo luogo la creazione di un Fondo Complementare di Pensione per tutti gli impiegati, chiedendo che si abbia la stessa sensibilità avuta nel mantenere gli impegni sul tema pensioni nella Abbey National anche per i lavoratori/trici del Gruppo in Spagna, rivendicando il diritto di titolarità dei propri fondi. Il sindacato chiede inoltre di chiarire i dubbi circa l’impatto che la fusione può avere sulla riorganizzazione dei Servizi Cen-trali, sapendo che Abbey ha un organico di 26000 lavoratori in 750 uffici con una media di 10/12 lavoratori/trici per ufficio, e che il resto del personale è distribuito su 23 Centri Amministrativi o Contabili dove almeno 3 di questi sono Grandi Centri (a Londra 3000 lavoratori, a Bradford 2300 e a Glasgow 900).

Per queste ragioni, ed in linea col metodo del Presidente di riunirsi con il Sindacato di Abbey, i Sindacati spagnoli chiedono con urgenza di essere convocati.

 


 

 

UN CONVEGNO PROMOSSO DALLA FISAC CERCA DI FARE IL PUNTO DELLA SITUAZIONE TRA ALLUNGAMENTI DELL’ETA’ LAVORATIVA, SUPERBONUS, TFR…

 

A luglio è stata varata dal Governo Berlusconi la nuova “riforma” del sistema previdenziale.

Si tratta di un provvedimento iniquo sia per i giovani che per gli anziani, immotivato dal punto di vista della sostenibilità della spesa previdenziale, contrario ad ogni logica di coesione sociale e che, tramite il cosiddetto “superbonus”, di fatto legalizza l’evasione contributiva e fiscale.

Questo nonostante il Sindacato nei mesi precedenti tale provvedimento, con la partecipazione attiva di tutti i Lavoratori, abbia contrastato sia con manifestazioni che con scioperi la delega alla riforma delle pensioni. Tuttavia non bisogna dimenticare che tali proteste hanno ottenuto alcuni importanti risultati, tra i quali la cancellazione della decontribuzione da parte delle aziende per i neoassunti e l’eli-minazione dell’ob-bligatorietà della devoluzione del TFR ai fondi pensione.

Insomma, il panorama è estremamente confuso anche in considerazione dell’in-completezza del provvedimento. La FISAC, nel tentativo di sistematizzare la materia, ha promosso un convegno presso Villa Gualino, il xx novembre, che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Arduino Baietto della Segreteria CGIL Regionale Piemonte, di Graziella Rogolino della Segreteria Nazionale FISAC e di Achille Santulli della Segreteria FISAC Regionale Piemonte ed esperto in questioni previdenziali.

Qui di seguito sintetizziamo la relazione svolta da Achille Santulli, quale utile strumento di conoscenza e valutazione della situazione. In coda abbiamo aggiunto un primo abbozzo di riflessione sulle conseguenze che il progressivo allungamento dell’età pensionabile dovranno avere sull’atteggiamento aziendale verso i cosiddetti “over 40”.

 

La Redazione

 

 

SINTESI DELLE NOTE TECNICHE SULLA “RIFORMA” DELLE PENSIONI

 

Quali sono le principali caratteristiche del vecchio ordinamento delle pensioni?

Secondo la precedente normativa (la cosiddetta Legge Dini del 1995), la pensione di anzianità calcolata con il metodo retributivo è applicabile solamente ai lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995, anche se con la seguente distinzione:

§         Lavoratori che al 31/12/1995 hanno un’anzianità contributiva di almeno 18 anni. Viene applicato il calcolo con il sistema retributivo (vecchie regole).

§         lavoratori che al 31/12/1995 hanno un’anzianità contributiva minore di 18 anni. Viene applicato il calcolo misto: retributivo per gli anni fino al 31/12/1995 e con il metodo contributivo per gli anni successivi (cosiddetto calcolo “pro rata”).

Ancora, secondo la legge Dini, i requisiti per poter accedere alla pensione di anzianità sono rispettivamente, in alternativa, i seguenti:

1.      35 anni di contributi, in concorrenza con almeno 57 anni di età[1]

2.      A prescindere dall’età anagrafica, 38 anni di contribuzione per il 2004 e 2005, 39 anni per il 2006 e 2007 e 40 anni dal 2008 in poi.

Infine, i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 1996 vedranno calcolata la loro pensione secondo il solo metodo contributivo.

 

Pensione di vecchiaia (regime contributivo)

Le condizioni da rispettare sono: 57 anni di età anagrafica, versamento di almeno 5 anni di contribuzione e pensione liquidabile di un importo non inferiore all’assegno sociale maggiorato del 20%.

 

Finestre

Il lavoratore che raggiunge il requisito utile per l’anzianità, prima di percepire materialmente la pensione, deve aspettare l’apertura della cd. “finestra”. In altre parole, la decorrenza della pensione parte dall’inizio del trimestre solare successivo a quello in cui si matura il requisito. Attualmente le finestre sono 4: gennaio, aprile, luglio ed ottobre.

La tabella seguente riepiloga le possibili casistiche:

Data di maturazione dei requisiti

Data decorrenza della pensione

57 anni compiuti entro 30/6

57 anni compiuti entro 30/9

57 anni compiuti entro 31/12

Entro il 31/3

1° luglio

1° ottobre

1° gennaio anno succ.

Entro il 30/6

 

1° ottobre

1° gennaio anno succ.

Entro il 30/9

1° gennaio anno successivo

Entro il 31/12

1° aprile anno successivo

 

Cosa prevede invece la nuova riforma Berlusconi?

Per ottenere il diritto al pensionamento, viene mantenuto il requisito dei 40 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Quindi da questo punto di vista non cambia alcunché, ma le novità riguardano l’età anagrafica necessaria per il pensionamento: a fronte di 35 anni di anzianità contributiva l’età viene innalzata a regime (dal 2014) per gli uomini da 57 a 62 anni e per le donne da 57 a 60 anni. In particolare, per gli uomini l’età anagrafica richiesta è:

Per le donne, per gli anni 2005, 2006 e 2007, sempre a fronte di 35 anni di contributi, occorre avere almeno 57 anni di età; dal 2008 in poi, invece si passa a 60 anni.

Tuttavia la riforma prevede per le lavoratrici sino al 2015 la possibilità di accedere alla pensione di anzianità con i requisiti attuali (35 anni di anzianità e 57 anni di età), ma attenzione: con l’applicazione del sistema di calcolo contributivo l’importo pensionistico è mediamente più basso del 20-25%.

La tabella seguente aiuta a sintetizzare quanto detto:

 

 

Vecchia Disciplina Pensioni

Nuova Riforma Pensioni

Età e anzianità

Anzianità

Età e anzianità

Anzianità

2008

57 + 35

40

60 + 35

40

2009

57 + 35

40

60 + 35

40

2010

57 + 35

40

61 + 35

40

2011

57 + 35

40

61 + 35

40

2012

57 + 35

40

61 + 35

40

2013

57 + 35

40

61 + 35

40

2014 e oltre

57 + 35

40

62 + 35

40

 

Incentivo o bonus

Una novità, seppur transitoria, riguarda il cosiddetto bonus, riconosciuto ai lavoratori dipendenti del solo settore privato che, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità nel periodo che va dal 2004 a tutto il 2007, decidono di posticipare la cessazione dal servizio. A costoro viene attribuito il bonus consistente nel 32,7% dello stipendio esente da tasse (pari alla somma dell’8,89% a carico del lavoratore e del 23,81% che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare come contributo previdenziale all’INPS). Naturalmente, va sottolineato che il lavoratore deve proseguire a lavorare senza vedersi accreditato nessun contributo per la pensione. Ciò significa che quando il lavoratore andrà poi in pensione il calcolo verrà riferito agli anni lavorati sino a prima del bonus.

Se il lavoratore decide di seguire il cd. posticipo va incontro ad un altro svantaggio “nascosto”: il calcolo dell’importo di pensione liquidabile si poggia normalmente sugli stipendi percepiti negli ultimi 5 o 10 anni di lavoro. Perciò, per quei lavoratori che negli ultimi anni vengono retribuiti con stipendi più alti che non nel passato (ad es. nuovi dirigenti, lavoratori che trasformano il rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, ecc.), il calcolo dell’importo della pensione non terrà conto degli ultimi anni lavorati con percepimento del bonus.

 

Certificazione del diritto al conseguimento della pensione

La certificazione del diritto al conseguimento della pensione deve essere richiesta da quel lavoratore che entro il 31 dicembre 2007 matura i requisiti per il diritto della pensione di vecchiaia ed anzianità prevista dalla precedente normativa e che decide di proseguire il lavoro. Tale certificazione dovrebbe garantire l’accesso alla pensione dal 1° gennaio 2008 con i vecchi requisiti.

neoassunti. Tutt’altro discorso va fatto per i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 1996, per i quali viene applicato il sistema di calcolo esclusivamente contributivo. L’età pensionabile passa da 57 a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne, oppure 40 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età.

pensione di vecchiaia. Si applica il sistema contributivo e viene riconosciuta a coloro che raggiungono a regime i 65 anni (uomini) o 60 anni (donne), purché abbiano versato almeno 5 anni di contributi ed abbiano una pensione di un importo pari all’assegno sociale maggiorato del 20%.

 

Finestre:da 2 a 4

Dal 2008 le finestre di uscita si ridurranno a 2, secondo il seguente schema: per coloro che raggiungeranno i requisiti entro il secondo trimestre dell’anno (30 giugno) il periodo di decorrenza della pensione è il 1° gennaio dell’anno successivo. Se invece i requisiti saranno raggiunti nel quarto trimestre dell’anno (31 dicembre) l’accesso al pensionamento sarà con decorrenza dal 1° luglio dell’anno successivo.

 

E per il TFR e la Previdenza Integrativa?

La riforma punta alla mobilizzazione del trattamento di fine rapporto. Il TFR continua a costituire per il legislatore il pezzo di stipendio più “appetibile” da far confluire alla previdenza complementare del lavoratore. Con la riforma è prevista l’equiparazione tra fondi chiusi, aperti e polizze individuali di assicurazione, parificando perciò soggetti che non sono tra loro equiparabili. Il dipendente avrà sei mesi di tempo dall’entrata in vigore dei decreti attuativi per dire “no” all’uso del proprio TFR per la previdenza complementare. Per il momento (novembre 2004) i decreti attuativi non sono ancora stati emanati.

Su questo aspetto torneremo quindi non appena saranno emanati tali decreti, cercando anche di approfondire vantaggi e svantaggi di tale opzione.

A cura di ACHILLE SANTULLI

Segreteria FISAC Piemonte

 

[1] Per i cd. “precoci” (lavoratori che hanno almeno un anno di contributi versati entro i 19 anni) l’età anagrafica richiesta, unitamente ai 35 anni di contributi, è di 56 anni per il 2004 ed il 2005

 

 

 

Al lavoro oltre i 60 anni

Ma quali sono le prospettive professionali?

 

Di fatto la riforma Berlusconi della previdenza colloca il minimo dell’età pensionabile oltre i 60 anni. Si tratta di un innalzamento dalle ricadute più che significative per la vita di tutti noi, ma anche per le “filosofie” aziendali.

Infatti diventa sempre meno comprensibile la posizione di Confindustria e delle altre associazioni datoriali che da un lato chiedono costantemente riforme strutturali della previdenza e dall’altro sfruttano tutte le forme possibili di ammortizzazione sociale per favorire e incentivare la fuoriuscita dal ciclo produttivo dei dipendenti meno giovani. Di fatto le aziende spesso considerano i propri dipendenti ultraquarantenni che non hanno raggiunto posizioni almeno intermedie come risorse su cui smettere di investire e, nel caso degli ultracinquantenni, addirittura da marginalizzare.

Come Sindacato abbiamo sempre considerato questa posizione come particolarmente miope e offensiva della dignità dei lavoratori. Le ultime tendenze previdenziali non solo ci confermano nella nostre posizioni, ma pongono le aziende di fronte a scelte complesse sempre meno rinviabili.

Prendiamo ad esempio il caso dell’Area Torino in Sanpaolo. Pur a fronte dell’uscita per pensionamento incentivato di circa 300 colleghi e dell’ingresso di oltre 200 neoassunti, l’età media in Area è di 39,8 anni, ma in considerazione del rallentato turn over a cui assisteremo nei prossimi anni (in teoria tutti coloro che matureranno il diritto al pensionamento entro il 2007 o hanno accettato gli incentivi e se ne sono andati o non intendono lasciare il lavoro entro tale data) l’età media è destinata ad alzarsi rapidamente oltre i 40 anni. Inoltre tutti noi difficilmente andremo in pensione prima dei 60 anni se donne, prima dei 62 se uomini. Il che vuol dire che resteremo al lavoro oltre 20 anni dopo il fatidico compleanno dei 40 anni.

Una delle sfide più difficili (di cui l’azienda non parla mai) non è l’ennesimo budget, ma trovare una soluzione gestionale per la formazione, la motivazione, la creazione di aspettative e soddisfazioni per una fascia di lavoratori numericamente in crescita e sempre più strategica per i destini aziendali. E’ evidente che un numero crescente di persone demotivate o - peggio - marginalizzate presenti per periodi sempre più lunghi in azienda non è compatibile con nessun programma di crescita. La vera scommessa è trovare una risposta adeguata a questa fascia di popolazione aziendale, rendendola compatibile con le legittime aspirazioni di crescita professionale e di sviluppo di carriera (possibilmente rapido) delle nuove leve ad alta scolarità e potenziale inserite in organico. Una sfida difficile, ma il cui esito positivo è l’unico presupposto del successo aziendale. Una sfida da affrontare in fretta.

Paolo Barrera

 


 

Donne e part-time

 

In una società come la nostra in cui si intrecciano profitti privati e cariche pubbliche anche quello che era un insormontabile conflitto di interessi, dedicare tempo alla propria famiglia ed avere contemporaneamente un percorso professionale di successo, sembra essere superato.

Oggi che il personale viene valutato in base alla capacità di vendere più prodotti al minor costo possibile, fermarsi oltre l’orario non è più indispensabile per essere considerati in linea con gli obiettivi dell’azienda.

E quando la disponibilità della dipendente è invece inferiore all’orario intero?

Dipende…

 

Nella nostra area sono 302 le donne che usufruiscono di riduzione di orario (su di un totale di 312 lavoratori part-time), la maggior parte di loro lo hanno richiesto per assistenza a figli o per problemi familiari.

Come tutte le altre lavoratrici vivono giornalmente il loro doppio ruolo, ma con una fragilità in più: il meccanismo del rinnovo annuale crea ansie, molte sentono su di loro il peso della responsabilità di un eventuale mancato rinnovo che inevitabilmente comporterebbe una riorganizzazione familiare.

La convinzione che saranno maggiori le probabilità di rinnovo se il lavoro svolto non sarà sensibilmente inferiore a quello del vicino di scrivania e non ci saranno troppe lamentele da parte di colleghi e clienti produce un conseguente aumento dei ritmi di lavoro,senso di inadeguatezza e, a volte, resa di diritti altrimenti irrinunciabili .(quali pause mensa perse e non segnate ecc.).

Il part-time non è una bacchetta magica,eppure in ufficio i compiti sono assegnati in quantità pari a quelli dei lavoratori full time ed a casa le mansioni svolte sono pari a quelle delle casalinghe.

Spesso senza le soddisfazioni né dell’uno né dell’altro ruolo.

 

Il “privilegio” di poter usufruire di una riduzione di orario viene spesso pagato (oltre che con una ovvia diminuzione di stipendio) con la delusione di non vedere riconosciuto il proprio impegno.

La possibilità di poter entrare in percorsi professionali o di vedersi affidare portafogli clienti non è esclusa a priori ma certamente diviene un obiettivo difficilmente raggiungibile. Inutile lamentarsi: il massimo che si potrà ottenere è una generica promessa: “Per il momento è così, ma quando tornerai a tempo pieno…”

La FISAC/CGIL, nel confrontarsi con chi gestisce il Personale nella nostra Area, ha sempre sottolineato l’importanza di non giudicare “peggiore” il lavoro a tempo parziale ottenendo un valido risultato: le colleghe già inserite precedentemente in ruoli di consulenti o gestori non perdono mansioni e portafogli acquisiti.

Purtroppo la maggior parte delle lavoratrici che non rivestivano precedentemente tali figure professionali, una volta ottenuto il part-time, rimangono inserite in ruoli di back office o di sportello per l’intera durata del contratto.

 

E’ lecito il dubbio che la mancata crescita professionale possa essere difficilmente recuperabile quando figli cresciuti e problemi risolti, nel caso migliore, o mancato rinnovo, in quello più sfortunato, si ritornerà all’orario completo dato che, oltre alle altre difficoltà sopra esposte le colleghe part-time hanno minori opportunità di accedere a strumenti quali memo, web mail e formazione a distanza, specie quando l’orario di lavoro coincide con l’apertura degli sportelli e non c’è possibilità di “stacco”. In un lavoro come il nostro dove cambiano scenari, messaggi e prodotti ogni giorno, non poter usufruire in maniera corretta della formazione è una inevitabile perdita di professionalità.

 

Il nostro Sindacato è impegnato a monitorare il numero complessivo dei contratti totali, a sollecitare l’Azienda per il rinnovo dei contratti in scadenza, ad evitare le gravi ripercussioni sulla gestione della riduzione d’orario previste dall’applicazione delle Legge 30 (vedi riquadro).

E a dare voce a chi, pur usufruendo di part-time, non si considera un lavoratore a metà.

Marilù Murialdo

 

Legge 30 - Norme di modifica SUL Part-Time

 

  • Nelle ipotesi di lavoro parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato (…) il datore di lavoro ha facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore ai sensi dell’art. 2.
  • Le parti del contratto a tempo parziale possono concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa.
  • L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi (…)
  • In assenza di contratti collettivi datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare direttamente l’adozione di clausole elastiche o flessibili ai sensi delle disposizioni che precedono.

 

Con un colpo di spugna è stata, nei fatti, cancellata la precedente legge sul part-time in tutte le parti che cercavano di garantire la possibilità di scelta delle lavoratrici. L’impresa sarà libera di far scrivere nel contratto individuale tutte le sue condizioni per la modifica dell’orario concordato.

Potrà quindi chiedere di superare l’orario, di modificare la distribuzione temporale, di cambiare la quantità di ore di lavoro. La volontà della persona o le sue reali possibilità non saranno,nei fatti, più tutelate e anche la contrattazione collettiva, ridotta ad un ruolo marginale, potrà mettere pochi margini alla totale discrezione del datore di lavoro.

 


 

A proposito di diritti acquisiti….

 

Vale la pena a volte fare un’incursione nel passato, nemmeno tanto remoto, per poterci orientare meglio nel presente. Nel caso specifico, trattasi dei famigerati anni 70, poco dopo il varo della legge 300, lo Statuto dei Lavoratori, conquistato con le mobilitazioni di quel periodo. Si svolse allora a Torino un processo a carico della Fiat, motivato dalla schedatura attuata dall’azienda ai danni di circa 300.000 persone, dipendenti e non, negli anni 50, 60, 70.

La “rivoluzionaria” legge 300, tra le altre cose, mira a proteggere la sfera personale del lavoratore, per tutto ciò che attiene gli aspetti politici, religiosi, sessuali, insomma di vita che tutti noi oggi consideriamo strettamente privata e del tutto separata e distinta dal rapporto di lavoro. Quello che noi oggi consideriamo scontato, non lo è stato affatto per i nostri datori di lavoro nel passato, prova ne siano le “perle” che seguono, tratte dal libro (non più in commercio) “ La schedatura alla FIAT, storia di un processo” di Bianca Guidetti Serra, editore Rosemberg e Sellier.

Ecco il tipo di informazioni che l’azienda considerava meritevoli di essere acquistate, con denaro appositamente stanziato e/o scambi di favori, da persone interne e/o esterne, ivi comprese rappresentanti di forze dell’or-dine, come emerso nel corso del processo, anche dopo che la legge 300 aveva espressamente vietato questo tipo di attività:

"F.V. 1968 Reputazione pessima; trattasi di capellone, di elemento che esige di vivere indipendente e non offre sufficienti garanzie per un eventuale assunzione presso azienda meccanizzata… non consta si sia interessato di politica apertamente, ma è ritenuto simpatizzante PCI

P.M. 1968 …In passato era fazioso comunista. Attualmente si è moderato, ma conserva tali idee.

C.V. 1970 ….Elemento poco riservato, insofferente a disciplina, poco amante del lavoro e contestatore.

F.G. 1970 …In occasione della recente campagna elettorale ha manifestato pubblicamente sentimenti favorevoli per il partito liberale…

F.T. 1970 …impiegato di buona condotta morale e civile… nel rione in cui abita è tenuto in buona estimazione e ritenuto buon lavoratore… ha cominciato a frequentare amici studenti di aperte idee politiche di estrema sinistra… La sua partecipazione agli ultimi scioperi indetti da vari sindacati è stata determinata soprattutto da fini politici. Tenuto conto di quanto precede… lo si ritiene non più idoneo a coprire incarichi di natura riservata.

Un trattamento a parte per le donne:

C.M. 1949 E’ nubile e madre di una bambina di quattro anni. Simpatizza per i partiti di sinistra… conduce vita piuttosto libera…

F.P. 1954 Politicamente viene indicata come attivista facinorosa e propagandista, specie da nubile. Dopo il matrimonio ha moderato la sua attività in seno al partito in quanto è stata dal marito severamente redarguita.

B.A. 1955 Non si interessa di politica ed è orientata, come i genitori, verso i partiti di centro. Reputazione buona. Di ottima moralità, seria e riflessiva, amante della casa e della famiglia.

G.A. 1955 La suocera… è donna di pessima moralità, vive saltuariamente presso la figlia o presso un amante, elemento di cattiva condotta, in un paese del Vercellese.

F.M. 1959 Sua moglie è donna molto elegante e vistosa, di bella presenza, condurrebbe una condotta morale non propriamente esemplare per cui le liti in famiglia sono all’ordine del giorno ed a volte furibonde e violente.

B.A. 1970 Giovane seria, riservata, volenterosa, di facile comando ed amante dell’ordine.

B.M. 1969 Donna riservata e volenterosa, disciplinata… docile nel lavoro.

F.D. 1951 …Impiegata di buona condotta morale e incensurata… politicamente è di sentimenti apertamente comunisti, prende parte a tutte le manifestazioni ed agitazioni.. ed è anche un’attiva propagandista. In questi ultimi tempi (...e per timore di un eventuale licenziamento) ha perduto molto mordente e si dimostra più calma.”

I commenti sono superflui. Alla nostra riflessione ed esperienza spetta individuare gli strumenti per arginare il tentativo di un sempre possibile regresso al passato.

 

Patrizia Pirri

 


 

Emily:  donne   e  politica  a  Torino

Intervista con

Monica Cerutti Presidente di Emily in Italia

 

di Marilù Murialdo

 

L’appuntamento è davanti al Comune di Torino, nella pausa tra una riunione (è Consigliere comunale per i DS) ed un impegno familiare (ovvio, è una donna).

Non ci conosciamo e quindi non so chi aspettare. Guardo con timore la distinta signora in tailleur e piglio manageriale che sta impartendo ordini al telefonino.

Sarà mica lei?

Per fortuna un sorriso alla mia altezza (in tutti i sensi) dall’altra parte della strada mi scioglie: la mia prima intervista è con una persona simpatica; ce la posso fare.

Davanti ad un cappuccino e un caffè,  Monica mi parla con passione ed entusiasmo di impegno, progetti, solidarietà al femminile.

 

Che cosa è Emily ?

Emily è una associazione di donne che hanno scelto di scambiarsi esperienze e formazione, che vogliono avvicinare la politica alla gente e alla vita di ogni giorno.

Purtroppo in politica ci sono poche donne; esiste una reticenza femminile nei confronti della politica che va interrogata e superata. Noi promuoviamo e sosteniamo la partecipazione delle donne.

 

Quali strumenti utilizzate?

Organizziamo incontri, seminari e lezioni per accrescere il sapere politico e le competenze delle nostre associate: alle donne non piace improvvisare.

Inoltre lavoriamo affinché la politica divenga luogo in cui la selezione delle persona avvenga valorizzando, in modo trasparente, attitudini, meriti e competenze.

Siamo convinte che quando le regole sono chiare, sono tante le donne che vincono.

 

Da quanto tempo esiste Emily?

Emily è nata in Italia nel 1998 sull’esempio delle Emily’s list americane e inglesi.

Nel 2002 ci siamo date una struttura federale. Per questo ogni sede locale ha il proprio statuto e un’orga-nizzazione autonoma.

In questi anni abbiamo organizzato corsi di formazione, gruppi di lavoro su scuola, partiti e comunicazione, incontri pubblici con donne importanti quali Miriam Mafai, Mercedes Bresso e Livia Turco (solo per citarne alcune), abbiamo sostenuto alcune nostre associate candidate in diverse campagne elettorali. Il nostro bilancio delle elette ai diversi livelli istituzionali è pari a 12, mentre sono 10 le nostre associate  nominate nei consigli di amministrazione e direttivi di competenza comunale e provinciale .

Un lavoro impegnativo che ha una importante valenza sociale: senza la piena affermazione dell’autonomia culturale, professionale e politica delle donne, il progresso si ferma e la democrazia non può dirsi compiuta.

 

Il tempo a nostra disposizione è purtroppo finito. Nel salutarla penso che è vero: le donne sanno mettere in ciò che fanno valori e forza e una prospettiva diversa che non può essere altro che ricchezza.

Ci vediamo da Emily ?

 

Per informazioni :

Emily in Italia –Torino

Via Tonale 31

10127  Torino

Telefono e fax : 011 30.32.159

emilytorino@tin.it

www.emily.it


 

DAGLI STEREOTIPI AI SOCIOTIPI

Riflessioni semiserie sulla comunicazione interculturale

 

Prima di inoltrarci nel campo della comunicazione interculturale faccio una breve premessa per definire il concetto di cultura. Dimenticate la storia dell’arte, la grande letteratura e tutto ciò che vi viene in mente pensando alla cultura con la C maiuscola e focalizzate la vostra attenzione sulla vita di tutti i giorni. La cultura di cui vi parlerò deve essere intesa in senso antropologico perché non è altro che la risposta di una data comunità ad un bisogno naturale, a partire dai più elementari come mangiare o coprirsi fino ai bisogni più sofisticati come le relazioni sociali. Ciascuna comunità sviluppa quindi dei modelli, o risposte, che sono peculiari per quella stessa comunità e che sono indissolubilmente legati alla lingua. Non bisogna però spaventarsi perché, sebbene il compito non sia semplice, la cultura si può apprendere. Attenzione però all’atteggiamen-to da usare quando si approccia un’altra cultura: consapevolezza della diversità, rispetto e ricerca delle matrici comuni fra la cultura oggetto d’analisi e la propria.

La conoscenza ed una buona dose di relativismo culturale ci permettono di andare oltre gli stereotipi, ovvero la cristallizzazione di determinate caratteristiche o qualità  che vengono attribuite ad una data cultura, di superare i pregiudizi, evitare il razzismo e riuscire così a comunicare con persone portatrici di un’altra cultura. Il passaggio dallo stereotipo al sociotipo presuppone l’interrogarsi sul perché di un dato comportamento senza fermarsi a ciò che vediamo. I Messicani, per esempio, fanno la siesta, non perché siano pigri, ma perché è un’esigenza dettata da condizioni climatiche e ambientali. Provare per credere!

E adesso entriamo nel vivo della nostra riflessione. Naturalmente, per ragioni di spazio, non potrò trattare tutti gli aspetti della comunicazione interculturale, ma dovrò operare delle scelte. Mi soffermerò su due aspetti in particolare: il concetto di tempo e la mimica del corpo nelle varie culture.

* Il tempo è un valore che spesso diamo per scontato, ma da cui possono scaturire tutta una serie di fraintendimenti. Per un Italiano sembra ovvio che la giornata inizi all’alba, ma per alcune popolazioni africane e asiatiche, visto che la giornata finisce con il tramonto, sembra logico credere che il nuovo giorno cominci con la notte. D’altronde, se a Torino uscire di sera significa dopo cena, a Cagliari la sera è prima di cena e il dopocena è già notte. Se per i Latini la settimana inizia con il lunedì, per gli Anglosassoni inizia con la domenica.

* La puntualità è un altro elemento legato al concetto di tempo che crea problemi di  relazione non indifferenti. Se ad esempio si tratta di un appuntamento di lavoro, Inglesi e Statunitensi ammettono ritardi non superiori ai 5 minuti. La situazione è diversa se si tratta invece di un invito a cena. Inglesi e Arabi ammettono un ritardo di 15 minuti, gli Italiani concedono un’ora, gli Spagnoli non hanno limiti. Un Giapponese, invece, potrebbe addirittura non presentarsi alla cena. La sua cultura non gli permette di rifiutare un invito perché sarebbe troppo scortese, ma lui lascia capire che potrebbe non andare alla cena.

* E che dire del fatto che esistono popoli monocronici che fanno una cosa alla volta e popoli policronici che fanno più cose contemporaneamente? Del primo gruppo fanno parte: Tedeschi, Austriaci, Svizzeri e Statunitensi. Al secondo appartengono invece: Arabi, Asiatici e Latino-americani.

* Nelle culture industriali il tempo è denaro, perciò non stupitevi se in una conversazione telefonica, un Americano arriverà subito al dunque, saltando a piè pari i convenevoli. Ovviamente noi Italiani li amiamo e come noi gli Arabi che giudicano disdicevole ignorarli.

* E a proposito del silenzio? Molte culture lo temono e inventano dei riempitivi per le varie situazioni. I migliori in questo campo sono gli Inglesi che hanno addirittura inventato un termini per definire tali riempitivi : lo small talk. Nessun problema invece per gli Scandinavi: i film di Bergman sono pieni di silenzi. Anche gli Arabi e gli Orientali in genere vivono sereni. Un Cinese aspetta sempre qualche secondo prima di rispondere ad una domanda intelligente per rispetto all’interlocutore.

* L’uso dei tempi verbali al futuro è molto delicato per Arabi e Spagnoli perché il futuro e nelle mani di Dio e abusarne può risultare blasfemo.

* Una scaletta o un ordine del giorno è per i Latini un suggerimento, per gli Svedesi è l’equivalente delle Tavole dei Comandamenti.

* Altro aspetto interessante da analizzare è l’uso che si fa del corpo per fini comunicativi. All’interno di una data comunità alcuni gesti sono univoci e compresi da tutti, nella comunicazione interculturale uno stesso gesto può assumere significati diversi o addirittura contrari.

* In Europa spesso si sorride per dimostrare all’interlocu-tore che si sta seguendo il suo discorso. Un Giapponese invece sorride per esprimere imbarazzo o disagio.

* Guardare l’interlocutore negli occhi è segno di franchezza per gli Occidentali in genere, mentre per gli Asiatici assume valore di sfida o addirittura di richiamo erotico. Con alcune differenze però, infatti in Cina guardare negli occhi di chi parla è segno di attenzione, mentre in Giappone ci si guarda solo di tanto in tanto e mai durante un commiato.

* Esprimere emozioni e sensazioni con la mimica è ovvio nell’Europa mediterranea, in Russia e, in parte, in America. Nel Nord-Europa le emozioni sono abbastanza controllate e addirittura poco gradite per gli Orientali, educati fin da bambini ad essere imperscrutabili.

* Incrociare le gambe e mostrare la suola delle scarpe comunica disprezzo agli Arabi, mentre nella cultura scandinava e orientale è addirittura consentito togliersi le scarpe in pubblico.

* L’odore di sudore è bandito nella cultura italiana dove sia uomini che donne usano profumi artificiali, con odori che non esistono in natura. Per altre culture è una cosa naturale, come per gli Arabi che giudicano poco virile, se non addirittura un pervertito, un uomo profumato. In Giappone il sudore ha un valore positivo di sincera partecipazione, tuttavia i profumi sono molti diffusi e particolarmente intensi anche fra gli uomini.

* Soffiarsi il naso in maniera discreta è permesso in Occidente, mentre in Giappone è considerato irrispettoso e volgare. Al contrario, i rutti e i rumori intestinali sono vietati nei Paesi occidentali e tollerati in Asia. In Giappone, una specie di risucchio dopo il pasto è indice di soddisfazione. Oggi, il ruttare è ancora permesso dopo i pasti in Scandinavia, Russia e Sud-est asiatico. In questi stessi Paesi, una volta, era addirittura richiesto come espressione di sazietà e piacere. Vomitare per i postumi di un’ubriacatura è una sorta di omaggio agli amici per i Giapponesi che insieme agli Orientali in genere ed agli Arabi non disdegnano di sputare per strada, atteggiamento vietato nelle culture occidentali. Toccarsi i genitali, poi, è per alcune culture come quella italiana semplicemente poco educato, per i Greci è invece un segno di sfida e di disprezzo.

Per il momento finisce qui. Spero di non avervi annoiato o addirittura disgustato, soprattutto con l’ultimo paragrafo che piacerà di sicuro agli adolescenti. Ovviamente l’argomento non si esaurisce perché sono molti i fattori che entrano in gioco nella comunicazione interculturale. Giusto per citarne alcuni, pensiamo ad esempio alla distanza tra le persone, all’abbigliamento, al tono della voce o allo status sociale. Ma questa è materia per un altro capitolo.

Ciò che volevo dimostrare con questa veloce carrellata di situazioni è che bisogna sempre interrogarsi sul perché di un gesto o di un comportamento. Ciò che a noi può sembrare inappropriato, se non addirittura indice di maleducazione, può per altri avere un significato diverso o anche opposto. Perciò, riflettete gente, riflettete…

 

Per chi volesse approfondire, consiglio un bellissimo libro di Paolo Balboni, “Parole comuni. Culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale”, Marsilio Editore, Venezia 1999. Potete anche contattarmi via e-mail all’indirizzo:

doretta.ardu@sanpaoloimi.com

 

 

Doretta Ardu

 


CIRCOLO RICREATIVO

SEZIONE COOPERAZIONE E SVILUPPO

Intervista a Ferdinando Sibona membro del Direttivo

 

Quando ha iniziato la sua attività questa sezione?

Nel 1987 è nata la sezione, anche se solo dal 1989 sono stati erogati i primi finanziamenti.

 

Di che cosa si occupa ?

La nostra attività possiamo dire che ha uno sviluppo duplice. Da una parte, grazie al contributo economico che ci giunge da quasi 800 soci, finanziamo alcuni progetti che si svolgono nel Terzo mondo. Dall’altra la Sezione, con i fondi del Circolo e quindi dell’Azienda (ribadisco: i versamenti dei soci servono solo a finanziare i progetti), si occupa di aiutare a capire e a conoscere il Terzo mondo. Organizziamo cene etniche, visite a mostre, inviamo pubblicazioni ai soci e cose di questo genere.

 

 Quali sono i criteri utilizzati per decidere quali progetti finanziare?

Attività da finanziare nel Sud del Mondo ne esistono tantissime e quindi selezionare non è facile. Innanzitutto privilegiamo le ONG (Organismi Non Governativi), perché danno garanzie di serietà e di continuità. Di solito, tranne rare eccezioni, evitiamo organismi troppo grossi e famosi e situazioni di emergenza, in quanto preferiamo progetti di sviluppo che assicurino la sostenibilità da parte delle popolazioni locali al termine dell’in-tervento. Poi cerchiamo rapporti con Organismi che ci forniscono informazioni utili per assolvere l’altro nostro compito: informare.

Infine ci rivolgiamo a chi dimostra di essere efficiente nell’inviare le certificazioni per lo scarico dei contributi versati dal 730, sembra banale ma non tutti lo fanno con il giusto impegno.

 

Quali sono i progetti principali finanziati nel 2004?

Per quest’anno sono stati erogati, grazie al contributo dei colleghi, oltre 40.000 euro a favore di 6 ONG. Si va da un progetto di aiuto ai minori e alle donne in difficoltà a Gran Bassam in Costa D’Avorio, al potenziamento tecnico del laboratorio clinico dell’ospedale di Leon in Nicaragua. In ogni caso si tratta di interventi concreti la cui gestione, anche in futuro, è garantita dalla popolazione locale.

 

Come possono, i colleghi interessati, intervenire e finanziare queste attività?

Compilando un apposito modulo (lo alleghiamo nella pagina seguente) si autorizza l’Azienda a trattenere direttamente dalla busta paga il due per mille (2%0) dello stipendio (per un Capoufficio circa 5 – 6 euro al mese). Alla fine dell’anno, con l’apposita certificazione che viene inviata, si può detrarre l’intero importo dalle tasse.

Oppure, versando tramite bonifico sul cc 91776 (abi 1025, cab 1098) intestato al Circolo Ricreativo Sezione Cooperazione e Sviluppo. Penseremo sempre noi ad inviarvi apposita certificazione per la detrazione dalla dichiarazione dei redditi.

Per ulteriori eventuali informazioni lascio il mio recapito (F.. Sibona 3355880619) e quello della Delegata Maria Grazia Dassano 0115558714.

 

Giacomo Sturniolo

 


 

 

FAVOLE” IN INTERNET

 

La mail qui sotto ha girato in Internet per parecchio tempo. La denuncia del simpatico, anonimo e preoccupato studioso è stata utilizzata durante una puntata di “Mai dire Iene” ed è apparsa su “La Repubblica delle Donne “ una lettera che ne riportava il testo.

Ci siamo incuriositi ed abbiamo provato a saperne un po’ di più.

Confermiamo che il testo originale riporta le stesse identiche parole ( pag. 34).

Ma guardate cosa abbiamo scoperto:

 

Titolo completo:

“ La Sinistra storica al potere. Quando la Sinistra storica sostituisce la Destra cavouriana nella gestione del Paese ”(N.d.R. anno 1876)

 

Pag. 35 : “La Destra e la Sinistra dell’Italia risorgimentale e post risorgimentale sono dette storiche per distinguerle da quelle del Novecento che- come vedremo- hanno caratteristiche molto diverse da queste.”

 

Sarebbe bastato allungare il naso fino alla pagina seguente per ridurre il grado di allarme.

Oppure controllare le edizioni precedenti: l’edizione del 2003 è, purtroppo, una ristampa.

Il libro che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca è stato stampato nel 2000 (quindi in  tempi non sospetti !).

 

Non ci posso credere: Fate girare più che potete!!!

Ecco cosa riporta uno dei nuovi libri di Storia contemporanea adottato da numerose scuole medie;il brano è tratto dal Capitolo 2,paragrafo 1 (la Sinistra storica al potere)

 

“Gli uomini della Destra erano aristocratici e grandi proprietari terrieri. Essi facevano politica al solo scopo di servire lo Stato e non per elevarsi socialmente o arricchirsi ;inoltre amministravano le finanze statali con la stessa attenzione con cui curavano i propri patrimoni.(Vi ricorda qualcuno? E nemmeno troppo vagamente!)

Gli uomini della Sinistra,invece,sono professionisti, imprenditori e avvocati disposti a fare carriera in qualunque modo, talvolta sacrificando persino il bene della nazione ai propri interessi.

La grande differenza tra i governi della Destra e quelli della Sinistra consiste soprattutto nella diversità del loro atteggiamento morale e politico.”

(Bellesini Federica,” I nuovi sentieri della Storia. Il Novecento. Istituto Geogr.De Agostini 2003)

 

Invito tutti voi a riflettere su ciò che ci aspetta; se questa è la nuova Storia c’e da raccapricciarsi….

Mi auguro che facciate circolare questa chicca e possiate porre fine a questo scempio, magari segnalando altre perle morattiane.

 

MARILU’ MURIALDO

 


 

CI SONO SCRITTORI “RODARIANI”?

Il CIRCOLO BLOOM[1], nella passata stagione 2003/2004 ha messo in scena “C’era c’era” di G. Quarzo e A. Vivarelli, tratto da C’era due volte il Barone Lamberto di Gianni Rodari. La trasposizione teatrale è stata “commissionata” ai due scrittori per ragazzi dal Circolo Bloom, che da tempo aspettava l’occasione di avvicinarsi al più importante autore italiano per ragazzi.

L’ultimo romanzo di Rodari, ove si narra della scoperta di un ricco Barone di allontanare la morte… Ma non è né di questo, né dello spettacolo che voglio parlare, ma, piuttosto, della tavola rotonda che ha preceduto lo spettacolo nel febbraio scorso, al Teatro Araldo di Torino, che ha visto la presenza dei maggiori studiosi di Rodari: Pino Boero, Francesco Rotondo, Valter Fochesato, e la signora Maria Teresa Ferretti v. Rodari.

Quello che segue è la parte finale della relazione di Fernando Rotondo, che aveva il tema: Rodariani e non, tradizione e innovazione negli scrittori italiani per ragazzi dopo Rodari.

Mi sembra un modo interessante per riavvicinarsi all’Autore per ragazzi più amato della mia generazione.

 

“(…) Allora, chi sono gli scrittori rodariani oggi? Proviamo a fare tre nomi. Uno è già stato fatto, Bianca Pitzorno, forse la più autentica erede per la sua capacità di unire fantasia, passione, moralità. Un secondo nome l’hanno fatto Boero e De Luca, Roberto Piumini, il quale non possiede certo la passione civile di Rodari, ma eccelle nell’arte di costruire quei “giocattoli poetici” di cui parlava Gianni, non perché i bambini siano dei poeti, ma perché amano giocare con le parole e il linguaggio. Il terzo nome è quello di Guido Quarzo, il quale in un’intervista[2] riassume la sua poetica rifacendosi alle Lezioni americane di Italo Calvino: leggerezza, velocità, esattezza, molteplicità, visibilità. Calvino morì prima di poter preparare la sesta lezione, dedicata alla consistency. Quarzo dà consistenza, densità, coerenza, costanza, cioè carne e sangue, fantasia e sogni all’ immaginario dei bambini.

C’è un’ultima caratteristica che connota gli scrittori rodariani: il fatto che nella loro opera, accanto alla centralità del bambino-lettore, pongano il primato della lettura disinteressata, fatta da bambini che leggono volentieri indipendentemente dallo scopo, perché leggere è un piacere in sé, e non solo un dovere, per studiare e per imparare. Come scrive opportunamente Giorgio Bini: “È appena il caso di notare, con un minimo di faziosità, che in un’epoca in cui tutto si vuole che sia privato e serva a far soldi, educare a qualcosa di disinteressato è fortemente sovversivo”[3]. Da questo punto di vista, la lettura, come la fiaba, la poesia, la musica, l’arte, il gioco, fa parte di quelle cose “che non servono a nulla” e di cui Rodari tesseva l’elogio, “cose che riguardano direttamente la felicità dell’uomo e non la sua utilizzazione in una qualsivoglia macchina produttiva”[4]. Perché leggere porta creatività, divergenza, anticonformismo, autonomia di giudizio, libertà di comportamenti.

Per questo preoccupa l’assenza della letteratura per l’infanzia nelle Indicazioni nazionali ministeriali per i piani di studio personalizzati per la scuola primaria. Ci sono uomini e donne che ripetono incessantemente Lamberto Lamberto Lamberto[5], ci sono scrittori come Rodari convinti che si possono dire cose molto serie parlando di gatti[6] e ci sono ministri che non amano il Gatto con gli stivali e Pinocchio, Lavinia e il Barone Lamberto. Purtroppo è così.”

 

 

A cura di Pietro Di Legami


 

[1] Circolo Bloom – Associazione Culturale. www.circolobloom.org

[2] E.MUTTI, Leggevo l’ “Intrepido”e “Nembo Kid”. Intervista a Guido Quarzo, in “Il Pepeverde”, 2, 1999, p. 36.

[3] G.BINI, Si fa presto a dire lettura, in “LG argomenti”, 2, 2003, p. 6.

[4] G.RODARI, Pollicino è utile ancora, in “il giornale dei genitori”, 11/12, 1968, e poi 58/59, 1980, p. 24.

[5] Formuletta magica, usata nel romanzo, per tenere in vita il Barone Lamberto.

[6] Ha detto Gianni Rodari nel ringraziamento alla giuria per il Premio Andersen nel 1970. “Credo proprio che il premio Andersen mi abbia messo addosso una gran voglia di scrivere storie di gatti. E spero che nessuno […] mi venga a dire che storie così sono fatte per impedire ai bambini di diventare persone serie. Intanto, si può parlare degli uomini parlando di gatti e si può parlare di cose serie e importanti anche raccontando fiabe allegre” (C.POESIO, Gianni Rodari, in “Schedario”, gennaio-febbraio 1971, p.26).

 

 


 

L’odore dei soldi

 

Che aria tira nel mondo della finanza etica al quale decine di migliaia di risparmiatori affidano i loro soldi nella speranza che non finiscano nelle tasche dei Tanzi o Cragnotti di turno? A che punto è la situazione in questa galassia nella quale si cerca di mettere d’accordo due ambiti - affari e morale – che a prima vista appaiono inconciliabili? È un bilancio che presenta luci e qualche ombra.

 

All’inizio c’erano le Mag (e ci sono ancora)

La finanza etica muove i primi passi con le Mag (Mutue per l’Auto Gestione), cooperative finanziarie senza scopo di lucro. La prima è costituita a Verona nel 1978, via via seguite da altre, concentrate nel Nord Italia. Raccolgono e prestano denaro ispirandosi a valori come la partecipazione, la qualità sociale e ambientale e hanno una connotazione territoriale assai marcata.

Negli anni ’90 ci si rende conto che è necessario allargare lo sguardo, per combinare tra loro esigenze che si stanno manifestando sempre più forti. Da un lato c’è il terzo settore in crescita. Ha bisogno di capitali, ma gli istituti di credito tradizionali nicchiano. Sull’altro versante si sta allargando l’area dei risparmiatori che vogliono incanalare i loro risparmi in attività socialmente rilevanti. Banca Etica è il ponte che manca e l’8 marzo 1999 apre ufficialmente i battenti: 13.000 soci, di cui 2000 enti e organizzazioni (tra cui compaiono Arci, Acli, Gruppo Abele, Agisci), e un capitale sociale di 16 miliardi di vecchie lire sono la sua dote di partenza.

L’inizio del 2003 segna una svolta importante. Con la costituzione di Etica sgr, società di gestione del risparmio creata insieme con la Banca Popolare di Milano, Banca Etica fa il suo ingresso nel mondo dei fondi comuni e per districarsi in questa selva si avvale della società di consulenza belga Ethibel, che dal 1992 passa al setaccio titoli emessi da aziende, Stati e organismi internazionali al fine di tracciarne un profilo di “accettabilità”. Nel settore delle imprese i criteri di valutazione riguardano l’impatto sull’ambiente, le condizioni dei lavoratori, i rapporti con consumatori e istituzioni pubbliche. L’analisi degli Stati investe aspetti quali il livello di corruzione, le politiche per lo sviluppo internazionale, la tutela effettiva della libertà di stampa, le condizioni economiche (tasso di disoccupazione, inflazione). L’elenco dei promossi da Ethibel comprende 17 paesi, Italia esclusa, e 240 titoli di società (dato gennaio 2003). Il gestore effettivo dei fondi è in ogni caso la Bipiemme Gestioni, che compie ulteriori analisi e selezioni.

 

Nuovi orizzonti, qualche dubbio

A febbraio 2004 Banca Etica ha presentato il suo quinto bilancio. I numeri raccontano di una realtà in piena espansione: 23.000 soci, 260 milioni di euro di raccolta, 1.400 i finanziamenti erogati, 8 filiali più due da inaugurare entro fine anno (Napoli e Torino). Il patrimonio di Etica sgr ammonta invece a 105 milioni di euro, dei quali 50 fanno capo direttamente a Banca Etica

La finanza alternativa interessa e raccoglie attenzione. Nessuna ombra, dunque? Quando si cresce a questi ritmi il rischio di tradire lo spirito di partenza è sempre in agguato e la nascita di Etica sgr ha portato alla luce perplessità che covavano da tempo. Il timore è che la raccolta sia sempre più indirizzata verso il settore degli investimenti, sottraendo così risorse al finanziamento dell’economia civile e solidale: “Da qui a 3-4 anni, quando, secondo Salviato (n.d.a.: presidente di Banca Etica), il gruppo di Banca Etica amministrerà risorse per un miliardo di euro, almeno due terzi del risparmio raccolto sarà investito nei fondi di Etica sur […] Sul resto, sarà un bel risultato se gli impieghi effettivi raggiungeranno il 50% della raccolta diretta” (Francesco Terrieri, ALTReconomia, giugno 2002).

I vertici di Banca Etica sostengono che si è all’inizio di un cammino e che bisogna procedere con prudenza nell’e-rogazione dei finanziamenti. In effetti ci sono diverse associazioni che chiedono soldi a casaccio e su progetti che non hanno sostenibilità finanziaria. La visione di taluni è che l’impegno nel sociale sia una sorta di “zona franca” sotto il profilo economico, nella quale ogni idea è valida a prescindere solo perché eticamente orientata, salvo accorgersi, alla fine, che i buoni propositi si sono trasformati in un clamoroso fallimento. D’altro canto il pericolo è che la finanza alternativa si faccia intrappolare dalla logica delle banche tradizionali che aprono il portafoglio solo se hanno mille e una garanzia. Si tratta evidentemente di trovare un punto d’equilibrio tra esigenze diverse e in questo senso è fondamentale la crescita professionale di tutti gli operatori.

 

Lo sapevate che i poveri rimborsano i debiti?

E dal 2003 Banca Etica si occupa di microcredito, uno strumento di sviluppo economico che nasce da un’idea di Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank, in Bangladesh, nel 1977. Una storia incredibile, la sua, e ci vorrebbe un libro per raccontarla  interamente (e infatti c’è: Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, 1997). Yunus, all’epoca, insegna economia in un’università del Bengala. È un tipo inquieto, uno di quegli intellettuali che non si accontenta di percorrere le solite strade, fatte di luoghi comuni e di teorie lontane dalla vita reale. Attorno a sé vede miseria e gente che vive di stenti, ma il cui destino potrebbe cambiare – ecco la sua intuizione – se disponesse di un capitale, anche esiguo, per iniziare una qualunque attività.

Il passo successivo è convincere una banca a concedere piccoli prestiti, fidandosi delle capacità lavorative di chi li richiede e a partire proprio dalla sua condizione di disperazione da considerare, paradossalmente, la migliore garanzia di rimborso. Chi è povero lavora come un dannato e per vivere deve vendere i suoi prodotti. Non c’è motivo perché non rimborsi quanto avuto, sapendo che in caso contrario nessuno gli farebbe più credito. Semplice, no? Prima di Yunus, però non ci aveva pensato nessuno. Il sogno del professore di economia si avvera. La Banca Janata nel dicembre 1976 apre una linea di credito d’importo ridotto per alcuni poveri del villaggio di Jobra. L’anno successivo Yunus si mette in proprio e fonda la Grameen Bank, che ha oggi filiali in tutto il mondo e due milioni e mezzo di clienti.

Non solo strumento finanziario - tra le sue altre finalità ci sono la formazione tecnico/ge-stionale e la creazione di reti commerciali - il microcredito è utilizzato soprattutto nell’am-bito della cooperazione internazionale, ma si sta diffondendo anche nelle zone ricche del mondo che vedono crescere al loro interno aree sempre più ampie di povertà. I metodi di concessione dei prestiti credito sono diversi e tengono conto del contesto in cui  ci si trova a operare.

Banca Etica offre servizi di microcredito – le Mag se ne occupano da anni e tra altre realtà esistenti in Italia citiamo il consorzio Etimos che finanzia 28 organizzazioni in 16 paesi diversi – a sostegno del consumo familiare, per importi che vanno dai 5 mila ai 10 mila euro, con garanzia prestata da enti che operano nel sociale.

Fausto Caffarelli


 

Sicurezza: è ora di riprendere il confronto

 

Il forte aumento del numero delle rapine ai danni degli Istituti di credito, avvenuto nel corso del 2004 (15% di aumento a livello nazionale nei primi 6 mesi dell’anno), ci ha convinti della assoluta necessità di sottolineare la pericolosità della situazione che si presenta.

Non solo il numero (più 54% in Torino e provincia nei primi 6 mesi dell’anno) ma anche la tipologia delle rapine (violenza ai danni dei dipendenti e clienti, sequestri e presa in ostaggio) dovrebbe far riflettere le aziende di credito sulla inadeguatezza dei sistemi di difesa attualmente impiegati.

Le istituzioni: Prefetture, Comandi Carabinieri, Questura, hanno spinto le banche a formalizzare, con la firma di “Protocolli d’intesa”, sistemi integrati di sicurezza che garantissero un livello minimo per tutto il sistema bancario.

Per essere più precisi vediamo come il Sanpaolo negli ultimi anni ha modificato la sua filosofia sui sistemi di sicurezza. Abbandonato il teorema “una guardia per ogni sportello” la banca ha prima utilizzato sistemi di controllo all’ingresso (metal detector), poi ha gradualmente spostato il suo interesse sui sistemi di contingentamento del contante disponibile, inserendo massicciamente temporizzatori sui mezzi forti. Ovviamente altre misure sono state messe in campo (videoregistrazione, rilevatori biometrici, guardiania dinamica), ma tutte hanno accompagnato quelle principali che prima abbiamo indicato.

Nel frattempo le Organizzazioni Sindacali del Sanpaolo hanno lavorato all’interno di un Comitato Sindacale per la Sicurezza al fine di garantire una scelta degli apprestamenti adeguata alla tipologia di rischio del Punto Operativo, considerando tutti gli elementi utili e misurabili del contesto in cui opera la Filiale.

Alla luce delle disposizioni europee le banche hanno dovuto inserire il rischio rapina nel Documento Valutazione dei Rischi pertanto questo è entrato nelle materie di competenza dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).

L’Azienda ritenendo impropriamente un “doppione” il confronto con le OO.SS. ha inteso privilegiare unicamente, nel corso degli ultimi due anni, un’informativa formale e burocratica agli RLS secondo i dettami del D. Lgs. 626, sottraendosi di fatto ad un confronto sulla scelta degli apprestamenti di sicurezza. Conseguentemente è venuto meno un livello di contraddittorio e un monitoraggio costante su quanto stava accadendo sul territorio, producendo così un ritardo nella disposizione di sistemi che impedissero ai malviventi un contatto diretto con i colleghi. Sicuramente i lay out delle Filiali progettati in base a criteri di tipo commerciale non hanno rispettato le esigenze prioritarie della sicurezza antirapina.

Infatti non è stato sufficiente diminuire il denaro contante a disposizione per indurre i malviventi a spostare il loro interesse verso altri settori: l’attacco ai perimetri dei punti operativi e l’utilizzo da parte dei rapinatori di armi improprie ha rappresentato la novità più eclatante degli ultimi anni. Il Sanpaolo con la sua strategia non è ancora riuscito a porre un argine agli eventi criminosi e quindi a proteggere in modo significativo i colleghi.

L’impegno congiunto delle Organizzazioni Sindacali e dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza dovrà tendere a recuperare un confronto serrato che pur tenendo conto del difficile momento, consenta di aumentare la tutela dell’incolumità dei lavoratori del Sanpaolo anche modificando le attuali filosofie aziendali in tema di sicurezza antirapina.

Piera Gheddo
RLS FISAC per Torino e Provincia


 

IL TASSO è un periodico a diffusione interna della FISAC/CGIL dell’Area Torino Sanpaolo.

 

I responsabili (si fa per dire) dei contenuti del TASSO sono: P. Barrera e G. Sturniolo.

 

Hanno collaborato a questo numero:

D. Ardu, F. Caffarelli, E. Capra, P. Gheddo, P. Di Legami, C. Fumagalli, R. Malano, A. Martino, M. Murialdo, P. Pirri, A. Santulli, C. Vecera, B. Vigna.

 

Potete farci pervenire materiali e commenti alle seguenti caselle e-mail:

paolo.barrera@sanpaoloimi.com

giacomo.sturniolo@sanpaoloimi.com