Fabbrica record, il lavoro quasi gratis
di Sandro Orlando
MILANO Quasi mille e cento miliardi, lira più lira meno: è
lutile netto che lo stabilimento di Melfi della Società
automobilistica tecnologie avanzate, in sigla Sata Srl, ha girato
al suo azionista, Fiat Auto Spa, nel corso di nove esercizi,
dallavvio degli impianti (94) allultimo
bilancio disponibile (2002). Mille e cento miliardi di profitti
generati con la filosofia del "prato verde" e del
toyotismo, della produzione "just in time" e del lavoro
24 ore su 24, sei giorni su sette, con 18 turni a settimana.
Eppure a scorrere in fila i bilanci dellultimo decennio di
quello che è rimasto come lesperimento più avanzato nel
nostro paese della "fabbrica integrata" di scuola
giapponese, palestra di massima flessibilità e "shareholder
value" (profitto degli azionisti), si viene colpiti da un
dato su tutti: la progressiva perdita di significato del costo
del lavoro, variabile sempre più irrilevante del conto
economico. E di fatti da quando le linee di Melfi hanno
cominciato a sfornare "Punto", al ritmo di 1.200
vetture al giorno (ovvero unauto ogni 72 secondi),
lincidenza in termini percentuali del costo del personale,
Tfr incluso, sul totale del valore della produzione è diminuita
di quasi un terzo, passando dall8,6% al 6,3%. Un valore
più che dimezzato rispetto al peso che ha il costo del lavoro
allinterno del gruppo Fiat a livello consolidato: se per
pagare gli stipendi di tutti i dipendenti del Lingotto (oltre 160
mila) se ne vanno in media quasi 14 centesimi per ogni euro
guadagnato, a Melfi serve meno della metà.
Ma in fondo è per questo che la casa torinese ha deciso di
spostare parte della produzione al Sud allinizio degli anni
90, aprendo gli stabilimenti di Melfi, in Basilicata (5
mila dipendenti), e di Pratola Serra, in Campania (meno di
1.500). In questultimo il costo del lavoro ha
unincidenza ancora minore, pari al 4,5% (Tfr compreso, dati
2002) del valore della produzione. Cè però una
differenza, ed è sostanziale: la Fabbrica motori automatici
(Fma) di Pratola Serra macina perdite da anni, come lintera
Fiat Auto del resto, che dalla fine del 97 ovvero
dallultimo esercizio chiuso in attivo grazie ai contributi
di Stato per la rottamazione delle auto usate a tutto il
2003, ha bruciato più di 6 miliardi di euro, quasi 12 mila
miliardi di vecchie lire. La Sata invece no, se si eccettua per
il penultimo esercizio (e presumibilmente, anche per
lultimo, per il quale però non è ancora disponibile il
bilancio): nel corso degli stessi sei anni infatti lo
stabilimento lucano ha remunerato lazionista Fiat con un
utile di quasi 700 miliardi di lire. Tutto grazie
allelevata produttività, oltre che alle gabbie salariali.
Nel 2002 ogni singolo operaio ha prodotto a Melfi ben 77 vetture,
posizionando lo stabilimento al dodicesimo posto nella classifica
degli impianti più produttivi dEuropa (dati del World
Market Research Centre). A confronto, a Termini Imerese ogni
operaio è arrivato nello stesso anno a produrre 63 auto, a
Cassino 53, a Mirafiori 49. Se non sono livelli giapponesi (99
vetture per operaio, record della Nissan), poco ci manca. Ma
evidentemente neanche lelevata produttività degli
"operai-non operai" di Melfi può compensare i ritardi
e gli errori che la casa torinese ha accumulato nel corso
dellultimo decennio, per effetto di scelte manageriali
disastrose (come puntare sui bassi costi invece che sulla
qualità, tagliando gli investimenti e costruendo automobili
tecnologicamente povere), la cui responsabilità va attribuita
alla gestione di Cesare Romiti e Paolo Cantarella, alle
incertezze degli Agnelli e ad una confusa politica di
diversificazione.
A farne le spese sono stati non solo i lavoratori del gruppo e
dellindotto a Melfi la maggior parte delle aziende
subfornitrici della Sata non ha rinnovato i contratti scaduti nel
2003 ma anche i contribuenti. Perché tra incentivi per
gli investimenti nel Mezzogiorno (legge 64/1987), sgravi fiscali
per le aziende del Sud, ammortizzatori vari, aiuti della legge
488 sempre per il Meridione e incentivi per la rottamazione, lo
Stato ha regalato alla Fiat un po più di 10 mila miliardi
di vecchie lire (la stima è di Massimo Mucchetti in
"Licenziare i padroni", Feltrinelli). Un prezzo forse
un po troppo elevato. (Da Lunità 24 aprile
2004)
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Affitti in volo: un anno a +17%
Il Sunia lancia l'allarme caro-casa
Se il caro-vita è sempre più pesante da sostenere per le
nostre tasche, il caro-affitti ha oltrepassato ormai ogni limite,
superando alla grande l'indice dell'inflazione. A lanciare
l'allarme sulle locazioni alle stelle è il Sunia (il sindacato
inquilini), che calcola un aumento medio pari al 17%. Secondo
l'indagine condotta dal Sunia insieme con la Cgil in Italia gli
affitti hanno raggiunto in media i 1.025,76 euro al mese.
Ma le punte toccate in alcune città sono ben più alte. Venezia
ad esempio, con i suoi 1.503 euro, guadagna il primato dal
caro-pigione italiano, ma anche Milano e Roma sono in cima alla
classifica, con i loro affitti medi rispettivamente di 1.311 e di
1.257 euro al mese.
A fronte di un Centro-Nord dove i prezzi volano alle stelle, il
Sud è decisamente più accessibile: il canone medio è infatti a
Bari di soli 611,6 euro al mese, mentre a Palermo è compreso fra
i 600 e i 700, così come a Torino e Genova. Sotto i mille euro
anche la media di Napoli e Catania (rispettivamente 841,8 e 846,9
euro), mentre Firenze e Bologna viaggiano sui 1.199 e 1.168 euro.
Ma anche all'interno delle stesse città le differenze sono
notevoli, a seconda della zona presa in considerazione. Il centro
storico è ovviamente il più caro per affittare una casa: in
media per un appartamento in una zona centrale si richiedono
1.342,14 euro, a fronte dei 936,82 per un'area intermedia e dei
798,10 della periferia. Ma il gap è a volte molto ampio e in
alcuni casi supera i mille euro. A Roma, ad esempio, l'affitto di
una casa in centro costa circa 2.100 euro al mese a fronte degli
868,54 richiesti in periferia. Analogo il discorso a Venezia
(2.311,28 per il centro e 892,39 per la periferia), mentre a
Milano questo divario è un po' meno accentuato, visto che anche
per una casa in periferia sono necessari oltre mille euro al
mese.
Tutto poi dipende dal tipo di abitazione. Per un monolocale il
canone è in media 683 euro contro i circa 580 del 2002, per un
bilocale 936. Sopra i mille euro le abitazioni più grandi: si
parte, in media, dai 1.072 euro per tre stanze fino ad arrivare a
1.574 euro per cinque stanze, passando per i 1.328 di un
quadrilocale. Ovviamente, anche in questo caso, molto dipende
dalla città in cui si abita: a Roma i monolocali costano quasi
di più dei tagli grandi, mentre a Milano si verifica una
situazione opposta.
Al caro-affitti va infine sommato il dilagante fenomeno dei
canoni in nero, che rappresentano il 50%. "Questo è l'unico
dato che si è mantenuto costante nel tempo: era il 50% prima
della liberalizzazione ed è il 50% ora", afferma il
segretario del Sunia, Luigi Pallotta.
Il fardello casa pesa non poco sul portafoglio degli italiani,
secondo il segretario confederale della Cgil, Paola Modica. Il
livello di onerosità degli affitti è particolarmente alto per
le fasce di reddito basse e intermedie, quelle cioè con redditi
fino a un massimo di 22.500 euro all'anno. Possono accedere al
mercato solo le famiglie con redditi medio alti e alti, cioè a
partire da 30mila euro l'anno. "I pensionati sono esclusi
dal mercato degli affitti" spiega Pallotta. "Basta
pensare che l'affitto medio di 1.025 euro al mese incide per il
60% sul reddito di una famiglia di operai". All'affitto,
sottolinea, vanno poi aggiunte le utenze, quali luce, gas, acqua:
si arriva così a un'incidenza sul reddito superiore nella
maggior parte dei casi al 60% con punte del 100% per chi ha un
reddito annuo da lavoro dipendente.
"Le persone normali non ce la fanno a tirare a fine mese.
L'affitto, i cui aumenti sono decisamente superiori
all'inflazione, incide pesantemente sul reddito, che già si sta
progressivamente spostando verso il basso, come ha fatto notare
la Banca d'Italia" dice Modica. "Come movimento
sindacale, e questa è una idea unitaria cioè delle tre sigle,
riteniamo indispensabile rilanciare la politica abitativa
modificando la legge sugli affitti, rilanciando l'edilizia
pubblica e stanziando più risorse a sostegno del fondo sociale
per gli affitti".All'edilizia pubblica, che attualmente
copre solo il 7-8% della richiesta d'affitto, dovrebbe andare
almeno un miliardo di euro all'anno, mentre almeno 500 milioni
dovrebbero essere destinati al fondo sociale per gli affitti. E'
necessario poi, secondo la Cgil, modificare la legge sugli
affitti prevedendo solo il canale del concordato e abolendo la
libera contrattazione.
"La casa è diventata sempre più un bene d'investimento e
non d'uso" precisa Modica. "In questa fase di declino,
di stagnazione, infatti, l'unico settore che tira è quello
immobiliare, dove si registrano rendite altissime e dove
confluiscono parte delle risorse che potrebbero essere destinate
a investimenti produttivi. Tutto questo è il frutto della
sciagurata politica del governo pronto a tagliare il Welfare
quanto disponibile (attraverso le cartolarizzazioni, la
costituzione di Patrimonio Spa, la svendita del patrimonio
pubblico ed i regali fiscali) a consentire una crescita senza
precedenti degli utili nel settore immobiliare".
"C'è infine il problema della terziarizzazione dei centri
storici" conclude Modica. "Al Parlamento è infatti in
discussione una proposta sulla nuova legge urbanistica che toglie
ai comuni la pianificazione per darla in mano ai privati.
Dobbiamo recuperare il patrimonio edilizio che abbiamo
adattandolo alle nuove esigenze".
Ecco di seguito una tabella che mostra i canoni medi nelle 11
aree metropolitane prese a campione del Sunia per l'indagine e
dove sono riportati i prezzi medi per ogni città dell'affitto di
un appartamento secondo le zone. (Da TgFin 27 aprile 2004;
vedi anche sito del Sunia)
CITTA' | CENTRO | SEMICENTRO | PERIFERIA | MEDIA |
BARI | 755,33 | 593,66 | 564,30 | 611,60 |
BOLOGNA | 1.032,04 | 1.040,09 | 918,65 | 1.168,92 |
CATANIA | 965,77 | 745,89 | 694,90 | 846,89 |
FIRENZE | 1.373,01 | 1.333,11 | 968,35 | 1.199,02 |
GENOVA | 950,14 | 935,10 | 699,03 | 778,59 |
MILANO | 2.015,23 | 1.335,92 | 1.016,30 | 1.278,97 |
NAPOLI | 1.051,05 | 886,58 | 733,70 | 941,78 |
PALERMO | 788,68 | 686,32 | 679,01 | 706,83 |
ROMA | 2.100,08 | 1.138,47 | 868,54 | 1.257,49 |
TORINO | 884,12 | 701,25 | 603,83 | 708,39 |
VENEZIA | 2.311,28 | 1.097,89 | 892,39 | 1.503,20 |
MEDIA | 1.342,14 | 963,82 | 798,10 | 1.025,76 |
*****
IL CASO
Trani. La procura di Trani ha chiesto l'archiviazione per il
governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, indagato per le
vicende riguardanti l'ex Banca 121 (gruppo MontePaschi). Fazio
era indagato per favoreggiamento reale nel delitto di truffa
aggravata e continuata a migliaia di persone nellambito
delle indagini sul collocamento sul mercato finanziario di
presunti prodotti ingannevoli emessi negli anni scorsi dall'ex
Banca 121.
La richiesta di archiviazione è stata fatta dal pm inquirente,
Antonio Savasta, il quale aveva iscritto il governatore nel
registro degli indagati dopo la presentazione dell'ennesima
denuncia-querela firmata dall'avvocato Gaetano Scamarcio. Questi
è legale di alcuni clienti dell'ex Banca 121 che si dicono
truffati per la sottoscrizione di alcuni dei prodotti al centro
dell'inchiesta penale: Btptel, Btpindex e Btponline, e dei fondi
My Way e 4 you. La procura tranese avrebbe chiesto al gip
l'archiviazione delle indagini su Fazio perché ha accertato che
sulla vicenda dei prodotti collocati da Banca 121 ci sarebbe
stata un'attivazione degli organi di vigilanza ma anche una
scarsa collaborazione della banca controllata. Per lo stesso
motivo sarebbe stata chiesta l'archiviazione anche per lex
presidente della Consob Luigi Spaventa.
Sono oltre 40 le persone indagate. Tra i nomi di maggior rilievo
figura anche quello di Rossana Venneri, ritenuta «il genio della
finanza creativa» della Banca del Salento prima e di Banca 121 e
Mps poi. Venneri - ritenuta l'ideatrice di numerosi prodotti
finanziari poi immessi sul mercato - è indagata per concorso in
truffa aggravata e continuata assieme all'ex direttore generale
della Banca del Salento (poi Banca 121) e del Mps, Vincenzo De
Bustis Figarola, ora amministratore delegato della Deutsche Bank
in Italia, a Lorenzo Gorgoni, ex presidente di Banca 121 e
componente del comitato esecutivo di Mps, e all'allora direttore
delle vendite di Banca 121, Giuseppe Pacileo.
(Da Il Mattino 29 aprile 2004)
*****
Sanpaolo Imi: Deutsche Bank sale al 2,954% dal 2,002%
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 29 apr - Deutsche Bank Ag
e' salita al 2,954% nel capitale votante del Sanpaolo Imi dal
precedente 2,002% risultante dal sito Internet della Consob
(aggiornato al 27 aprile). Gli altri azionisti dell'istituto
torinese con quote superiori al 2% sono la Compagnia di Sanpaolo
con il 14,479% del capitale totale, la Fondazione Cariparo
(10,802%), il Santander Central Hispano (8,612%), la Fondazione
Carisbo (7,686%), la Giovanni Agnelli & C. (3,838%). La
composizione dell'azionariato e' stata fornita in apertura
dell'assemblea di bilancio.
Adb-Pco-
(RADIOCOR) 29-04-04 11:30:36 (0214) 5 NNNN
*****
Lassemblea vota il consiglio nato dalla revisione del
patto tra i grandi soci. Entro giugno prime decisioni sulla
direzione generale
Nuova squadra al SanPaolo Imi: Salza e Iozzo
alla guida
DAL NOSTRO INVIATO
TORINO - Un cambio della guardia sobrio, in perfetto stile
sabaudo. Senza retorica e senza polemiche. Eppure quella di ieri
per il SanPaolo Imi può essere definita una giornata storica. La
poltrona di numero uno è passata dalleconomista Rainer
Masera a Enrico Salza, imprenditore, già vice dello stesso
Masera, torinese doc. L'assemblea dei soci (che ha approvato il
bilancio 2003, chiuso con un utile di 824,3 milioni e la
distribuzione di un dividendo di 0,39 euro per azione) era attesa
soprattutto per questa «staffetta». E per i cambiamenti, già
annunciati, al vertice e nella governance.
Tutto si è svolto secondo copione. E' toccato a Renzo Giubergia
- chiamato dalle Fondazioni bancarie a mettere a punto il nuovo
patto di consultazione tra i principali azionisti - proporre ai
soci i nomi degli amministratori e del nuovo presidente. Oltre a
Salza, il nuovo consiglio è formato da Maurizio Barracco, Pio
Bussolotto, Giuseppe Fontana, Ettore Gotti Tedeschi, Alfonso
Iozzo, Virgilio Marrone, Iti Mihalich, Anthony Orsatelli, Emilio
Ottolenghi, Orazio Rossi, Gianguido Sacchi Morsiani, Alfredo
Saenz, Mario Sarcinelli, Leone Sibani, Alberto Mazzetti e Manuel
Varela. In tutto, alla faccia dei superstiziosi, sono 17 i
rappresentanti dei principali soci, compresi quelli esteri (lo
spagnolo Santander e i francesi di Cdc) e quelli, come il gruppo
Agnelli, che non faranno più parte del patto. L'assemblea ha
designato Salza alla presidenza, mentre dalla successiva riunione
del consiglio sono usciti i nomi del vicepresidente Orazio Rossi
e dell'amministratore delegato unico, Alfonso Iozzo. Resta per
ora vuota la casella del direttore generale. Per riempirla
occorrerà prima modificare lo statuto (entro il 30 giugno sarà
convocata un'assemblea) per attribuire alla carica poteri di
gestione più ampi.
Con questa squadra, più snella di quella precedente, il S.Paolo
Imi si appresta ad affrontare le nuove sfide. «Gli obiettivi
prefissati - ha osservato Iozzo - sono tutti raggiungibili».
Salza ha ringraziato i suoi predecessori, in particolare Masera e
Luigi Arcuti (presidente onorario), e ha promesso di impegnarsi
«con l'aiuto di tutti» nel nuovo ruolo. Sereno anche l'addio
dell'amministratore delegato Luigi Maranzana («Dopo 43 anni in
azienda è giunto il momento di scendere dal carro»), mentre
Masera ha ricordato che nei suoi 16 anni nel gruppo («su 34 di
carriera bancaria») listituto ha prodotto utili netti per
9 miliardi e le sofferenze sono scese dal 3,7% allo 0,7%. -
Giacomo Ferrari (Da Il Corriere della Sera 30 aprile 2004)
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AL LITRO
Il prezzo della benzina s'infiamma ancora
Un euro e 139 centesimi, è record. I consumatori: il
governo abbassi le tasse
BE. MAR.
Un euro e centotrentanove centesimi. Pare lungo anche solo a
scriverlo il nuovo prezzo di un litro di benzina. Se ragioniamo
in lire (va di moda), significa che si è sfondata una soglia
importante, quella delle 2.200 lire. Va detto che non si tratta
di una media, ma di dati rilevati dall'Intesa dei consumatori su
alcune autostrade. Casi limite, insomma. Ma la quota polverizza
comunque il record stabilito tre anni fa. Di più: negli ultimi
tre mesi e mezzo c'è stato un incremento dell'8%. Un pieno di
benzina costa oggi mediamente 4,5 euro in più. La situazione è
insomma allarmante, anche se non per tutti. In un serafico
comunicato, infatti, il presidente dell'Unione Petrolifera
Pasquale De Vita elogia le compagnie (come dire che si auto
elogia): «Ci sarebbero ancora sulla carta da recuperare circa
0,045 euro al litro». Tradotto: aspettatevi nuovi aumenti entro
breve. Colpa dei rincari del greggio ma soprattutto delle
maggiori tasse. Senza troppo far rumore, infatti, il governo ha
da tempo aumentato l'accisa sulla benzina del 3%. Era, per esser
precisi, il 24 dicembre 2003: una specie di regalo di Natale.
Insomma le aziende petrolifere per De Vita «hanno reagito in
maniera molto calma». E poco importa se forse saranno meno calmi
gli automobilisti. Come quelli che parteciperanno al sit-in
dell'11 maggio davanti a palazzo Chigi, organizzato dall'Intesa
dei consumatori. Il tentativo sarà di sensibilizzare il governo,
contro la «speculazione incontrollata dei petrolieri, che stanno
imponendo prezzi ingiustificati dalla congiuntura `sfavorevole'
tra costi dell'olio al barile e cambio euro/dollaro».
Ancheperché - come spiega l'Intesa - per ridurre i prezzi della
benzina il modo c'è: ridurre le tasse, allargare la rete di
vendita alla grande distribuzione, garantire la trasparenza dei
prezzi.
D'accordo sono anche i sindacati («il governo defiscalizzi la
benzina», dice il numero due sella Uil Adriano Musi), così come
la Confesercenti (che rileva come la benzina pesi moltissimo
sull'inflazione, confermata al 2,3%). Dal governo arriva
un'arcana dichiarazione del ministro delle attività produttive
Marzano: «Stiamo studiando misure fiscali con valenza
anticiclica neutrali per il bilancio dello stato».
Intanto le compagnie petrolifere, specie le multinazionali,
prosperano. La Exxon (che in Italia si chiama Esso) ha chiuso il
primo trimestre con uno spaventoso utile di 5,44 miliardi di
dollari (4,55 miliardi di euro). L'anno scorso era andata anche
meglio, ma solo in virtù di incassi straordinari. Al netto dei
quali la Exxon ha guadagnato nel primo trimestre del 2004 il 14%
in più dell'anno passato.
Il prezzo della benzina allarma anche gli Stati uniti. Da due
mesi, ogni giorno si fissa un nuovo primato negativo: la media
nazionale ha toccato 1,86 dollari al gallone (1,55 euro per poco
meno di quattro litri). La cifra, confrontata a quella italiana
sembra assai bassa, ma bisogna considerare che gli Usa sono un
paese tradizionalmente poco caro per i carburanti. E i continui
rincari stanno creando problemi seri a una società basata, come
nessun'altra, sull'automobile. (Da
Il Manifesto 30 aprile 2004)